Cilento, per il Giubileo della Misericordia: evento unico nella storia di Moio della Civitella (SA) e Pellare
Pellare (SA), 01 settembre 2016 – “Albo signanda lapillo!”, ovvero: “da segnare con pietra bianca”. Con tale locuzione latina, in una pubblicazione diffusa a Pellare di Moio della Civitella (SA), si è sottolineata l’eccezionalità di un evento che ha visto protagonisti i sopraindicati borghi cilentani. Infatti, nell’Anno Santo straordinario della misericordia voluto da Papa Francesco – per la prima volta nella storia secolare del Comune e della sua frazione –, la statua del Santo Patrono di Pellare, San Bartolomeo Apostolo, è stata portata in processione a Moio della Civitella (lo scorso 15 luglio) – in occasione dei solenni festeggiamenti di Santa Veneranda (26 luglio) – e, allo stesso modo, la Santa protettrice di Moio è stata accolta a Pellare (il 15 agosto) per la festa di San Bartolomeo (25 agosto).
Un avvenimento che fino a qualche tempo fa – per chi conosce la storia delle due comunità –, era del tutto impensabile. Infatti, in occasione del giubileo del 2000, si era cercato – senza successo – di realizzare un simile evento. Segno che forse – e sottolineo forse –, qualcosa sta cambiando. Un esempio che è stato recepito anche dalle due comunità di Moio e di Pellare residenti a Caracas. Quest’ultime, nonostante il periodo difficile che si sta attraversando in quella nazione – per la festa di San Bartolomeo –, hanno deciso di riunire in processione entrambe le statue. Tutto ciò a riprova di quanto espresso, alla vigilia della festa di San Bartolomeo, da Don Angelo Imbriaco, sacerdote di Pellare: «Non ci sono situazioni e distanze che possano impedire alla misericordia del Padre di raggiungerci».
Un evento straordinario che, come commentato da Don Ronel D’Orsi, parroco di Moio della Civitella, al margine della processione che ha riportato la statua di Santa Veneranda nella sua parrocchia: «Tirando le somme, a conclusione, il bilancio è più che positivo. Si è vista una grande partecipazione da parte delle persone delle due comunità. L’accoglienza festosa delle statue. Soprattutto da parte dei giovani che, con grande entusiasmo, hanno partecipato non soltanto portando la statua, ma anche prendendo parte alle varie fasi di questo solenne avvenimento. San Bartolomeo e Santa Veneranda sono nel cuore dei cittadini di Moio e di Pellare. Spero che tale partecipazione possa dare dei frutti. Che almeno una persona possa aver inteso il significato profondo e il valore della misericordia».
Parole che – una volta archiviato, con grande apprezzamento, il ricco cartellone di appuntamenti previsti per la festa di San Bartolomeo, spente le luci delle luminarie e riposizionata la statua nella sua consueta collocazione –, inducono a riflettere. In quanto, a prescindere che si sia credenti o meno, che si fosse concordi oppure no alla realizzazione di tale evento, c’è sempre qualcosa di positivo che si può trarre da ogni esperienza.
Tuttavia, se è vero quanto sostenuto da Papa Francesco – in un videomessaggio rivolto, a fine agosto, ai vescovi della Chiesa dell’America Latina e dei Caraibi (Celam) –, che la misericordia «cambia il cuore delle persone», allora ben poco è cambiato se lasciamo che, di tutto ciò a cui si è assistito nei giorni di festa, rimanga solo l’eco mediatica derivante dagli effetti collaterali dei fuochi pirotecnici, oppure ci si limiti a disquisire in merito a quale comunità – quella di Pellare o quella di Moio – ha riservato all’altrui statua l’accoglienza migliore e via discorrendo. Infatti, al di là del fatto di cronaca che suscita più clamore ed interesse sui social, forse la “notiziabilità” non colta che bisognava sottolineare era l’eccezionalità dell’evento e con essa: la gran bellezza dell’entusiasmo che illuminava gli occhi dei giovani; la commozione di molti dei presenti; il forte desiderio di partecipare, anche a distanza, da parte di chi vive lontano. Se tutto ciò fosse passato apaticamente in sordina, senza aver lasciato qualcosa di buono che induca quantomeno in silenzio a pensare, allora – ancora una volta – ci saremmo soffermati a guardare il dito, invece che osservare la luna. Perché, come scriveva Lucio Anneo Seneca: “È l’animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi” (“Lettere a Lucilio”, Libro III, Lettera XXXVIII).
Rosy Merola