Dopo RCS, la famiglia Agnelli punta a “The Economist”. Editoria libera?
TORINO, 27 LUGLIO 2015 -Dopo il Corriere della Sera, John Elkann ci ha preso gusto a fare “shopping” nel settore dell’editoria. Infatti, attraverso la holding finanziaria Exor (che mediante Fca, a sua volta controlla il 16,7% di Rcs e del 77% di Italiana editrice, ovvero la società che pubblica i quotidiani “La Stampa” e “Il Secolo XIX”), la famiglia Agnelli sta puntando ad incrementare la sua quota (5%) del settimanale londinese “The Economist”.
Anche se, quel “5%”, evidenzia quanto Elkann – frequentando il “Salotto Buono” – abbia imparato bene la lezione. Tale percentuale, infatti, è in linea con il modus operandi della finanza che conta (il quale si poggia, essenzialmente, su tre pilastri: le scatole cinesi; i patti di sindacato e le azioni di risparmio) e ricorda tanto “Mister 5 per cento” (Salvatore Ligresti), che era solito acquistare quote societarie che si aggiravano intorno al 5%, (atteggiamento che gli fa guadagnare, appunto, il sopraindicato soprannome). Una percentuale che – attraverso il meccanismo delle scatole cinesi, patti di sindacato, azioni di risparmio ed artifici vari – consentono, lo stesso, di controllare aziende e società.
Analogia che appare ancor più peculiare se si pensa che, nel 2004, Salvatore Ligresti era riuscito ad arrivare nel consiglio di amministrazione della società editrice di quotidiani Rcs MediaGroup (che tra le altre cose, gestisce il Corriere della Sera e la free press City della stessa figlia di Ligresti, Jonella). In particolare, mediante la Premafin, la famiglia Ligresti si era – all’epoca – impossessata del 5.291% della società editrice e, allo stesso tempo, era riesce a prendere parte al patto di sindacato che la controllava, facendo ricorso ad uno dei tre sopracitati ‘pilastri’
Alla luce di tutto ciò, come avevo già scritto in passato, invece di mettere “il bavaglio” a chi fa informazione, occorrerebbe un intervento serio al fine di ridurre i tanti conflitti di interesse e giochi di potere. Solo in questo modo, si potrebbe parlare veramente di “Libertà di stampa”, ovverosia: Utopìa s. f. [dal nome fittizio di un paese ideale, coniato da Tommaso Moro nel suo famoso libro Libellus … de optimo reipublicae statu deque nova Insula Utopia (1516), con le voci greche οὐ «non» e τόπος «luogo»; quindi «luogo che non esiste»]. Ideale, speranza, progetto, aspirazione che non può avere attuazione”.
Come sempre più utopico, ahimé, appare il consiglio dato da Indro Montanelli – il 12 maggio 1997 – nel corso della lezione di giornalismo all’Università di Torino: “Chi di voi vorrà fare il giornalista, si ricordi di scegliere il proprio padrone: il lettore”.
(Foto: primaonline.it)
Rosy Merola – SinergicaMentis