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L’amore vero esiste: l’ho visto negli occhi di mia Nonna

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«L’estate addosso… prima che il vento si porti via tutto e che settembre ci porti una strana felicità pensando ai cieli infuocati, ai brevi amori finiti, respira questa libertà: l’estate e la libertà», il tormentone di turno ci ricorda che l’estate – ormai ai suoi titoli di coda – è la stagione della leggerezza, degli amori fugaci al “sapore di sale”.

Come se non bastassero le canzoni con la rima “sole, cuore, amore”, ci pensano le riviste patinate, i giornali, siti web vari a disquisire con leggerezza in merito all’argomento amore. Così, uno si ritrova a leggere classifiche improponibili sull’uomo/donna ideale. Perle di saggezza psicologica sul vero amore e sull’anima gemella. Roba che farebbe rigirare nella tomba Platone, il Mito degli androgini, tutto il suo Simposio e specialisti vari.

Eppure, anche se questo può sembrare un rigurgito di acidità, non lo è affatto. Perché, proprio questi ultimi giorni di agosto, puntualmente mi fanno ricordare che l’Amore vero – quello con l’A maiuscola – esiste. L’ho visto negli occhi di mia Nonna mentre guardava la foto di Nonno – scomparso sei mesi prima – che le stava di fronte.

Questo non significa che il loro rapporto fosse tutto “rose e fiori”. Tutt’altro. Per un nonnulla, ti ritrovavi spettatore in prima fila di una scena tipo “Casa Vianello” (questi ultimi scomparsi a distanza di cinque mesi l’uno dall’altra). Soltanto che, invece della nota frase di chiusura, “Che noia, che barba. Che barba, che noia”, spesso nonna concludeva dicendo (nel nostro dialetto): «Amm’ fatto l’ammore nove anni e nun l’aggio saputo scanaglià», ovvero: «Siamo stati fidanzati nove anni e non sono riuscita a conoscerlo bene (a svelare tutti i suoi difetti)».

Eh già, perché, nel nostro vernacolo (cilentano, ndr) essere fidanzati si dice “fare l’ammore”, anche se questo significava – ai tempi di mia Nonna – vedersi per poche ore a settimana e sempre in presenza di uno chaperon. Scene dallo stesso effetto esilarante della sopraindicata sit-com, ma che – nonostante ciò e nonostante gli scambi reciproci di rimproveri – mai nulla è riuscito a mettere in discussione il fortissimo amore che li univa.

“Rimproveri” carichi di dolcezza che sono proseguiti anche dopo, quando non c’era più Nonno a replicare e rimaneva solo una foto a cui indirizzarli. Un modo per riempire quel vuoto d’amore. Una mancanza che – proprio mentre fuori il Paese era in fermento per l’approssimarsi della festa del Santo Patrono – era diventata insopportabile: «Quanto ci teneva Nonno a questa festa. Con quanto entusiasmo l’aspettava. E quest’anno…», si interrompe in gola la voce di Nonna che – dopo averla per pudore rimodulata e disciplinata – prosegue, aggiungendo: «Non me lo doveva fare. Non mi doveva lasciare. Ero io che me ne dovevo andare per prima».

Espressioni che possono suonare, ai giorni nostri, del tutto anacronistiche. Forse anche un po’ “egoistiche”. Frasi che, dopo più di sessant’anni di vita insieme, solo chi ama l’altro profondamente può affermare. Non si riesce a sopportare nemmeno l’idea di sopravvivere all’altro, figuriamoci quando lo scenario peggiore si concretizza. Non tutti ci riescono. Nonna non c’è riuscita. Il suonare delle campane a festa e i “colpi scuri” provenienti dall’ambiente esterno, erano in netto contrasto con l’atavico dolore interiore che Nonna cercava di tenere a bada. Una sofferenza troppo grande per Lei.

E così, qualche giorno dopo, mentre un’unica lacrima muta esiliava quell’ultimo frammento di dolore che le comprimeva il cuore, poco prima di spegnersi, i suoi occhi si sono illuminati. Perché, se come ha scritto Alda Merini: «Appartenere a qualcuno significa entrare con la propria idea nell’idea di lui o di lei e farne un sospiro di felicità»; nel suo ultimo e faticoso sospiro-alito di vita, Nonna ha ritrovato la sua felicità, pensando di raggiungere Lui.

Sentimento difficile da condividere per chi rimane. Per chi, in quel preciso momento, si ritrova ad essere sola. Impietrita. Con la voce che, per pochi istanti, non ce la fa ad uscire nemmeno per chiamare chi è poco distante. Con una mano ancora nella sua, l’unico gesto istintivo che mi venne di fare – con l’altra mano – fu di asciugare quell’unica lacrima che si mescolò alle mie.

Raccolsi, così, l’ultimo frammento di dolore che – a distanza di anni – mi appare per ciò che effettivamente è, ovvero il suo ultimo insegnamento. L’incommensurabile eredità e – allo stesso tempo – la grande responsabilità che mia Nonna mi ha lasciata: l’amore vero esiste. Quasi mai è “perfetto”. Anzi. Nonostante ciò, va rispettato, difeso, coltivato. Non va sprecato, barattato, mercificato. Inutile accontentarsi di un suo surrogato.

Perché, l’amore vero esiste ed io l’ho visto nei tuoi occhi, Nonna.

(Foto: partecipiamo.it)

Rosy Merola

Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.