Sulla prima pagina del quotidiano Avvenire dello scorso 19 gennaio, in evidenza una foto-notizia dal titolo: “Venezuela: la fuga dalla fame“. Come un proiettile, questa immagine arriva dritta al centro del mio cuore, generando un sentimento misto di rabbia e dolore. Perché, come ho avuto modo di spiegare in altri contesti:
«Yo nací en esa ribera del Arauca vibrador, soy hermano de la espuma, de las garzas, de las rosas y del sol!» (traduzione: “Sono nata sulla riva del vibrante fiume Arauca. Sorella della schiuma, degli aironi, delle rose, e del sole!”). Così recitano i versi di una canzone tradizionale (“Alma llanera”) – in stile di joropo -, che in Venezuela è considerata quasi un secondo inno nazionale. Eh già! Perché, tra i diversi frammenti interiori colorati che mi compongono – facendomi sentire come una sorta di caleidoscopio e che mi aiutano a “vedere (il) bello” – sono vividi in me anche l’“amarillo, azul y rojo”: i colori della bandiera venezuelana.
Una terra che, come si intuisce, rappresenta la patria del (mio) cuore e la cui situazione, inevitabilmente, non mi lascia indifferente. Infatti, pur essendo consapevole che il mio lavoro è solo un’infinitesima goccia nel mare magnum dell’informazione, sin da tempi non sospetti – quando la situazione attuale era in fase embrionale e non si poteva prevedere l’attuale deriva, ho cercato di raccontare ciò che stava avvenendo (in una nota a margine dell’articolo “L’America Latina di fronte alla crisi mondiale“, pubblicato nel Vol. 75, No. 4 (300) (Ottobre-Dicembre 2008) della Rivista di Studi Politici Internazionali, facevo un distinguo tra i diversi governi di sinistra in America Latina, definendo quella del Venezuela “populista”).
Molto prima, quindi, che le vessazione del popolo venezuelano catalizzassero (quando la situazione era già degenerata) i media nazionali, ho cercato nel mio piccolo di mantenere viva l’attenzione con una serie di articoli; sfruttando tutti gli spazi e i mezzi a disposizione, anche a livello locale (come ad esempio dei video servizi per il telegiornale locale della GW Television – La tv di Guendalina di Vallo della Lucania (SA)), oppure usando i dati dell’aumento degli studenti stranieri nel Cilento (articolo pubblicato il 17 aprile 2018 su La città di Salerno) per sensibilizzare e informare su un aspetto che coinvolge anche il nostro territorio. Articoli che, nonostante fossero poca cosa, in passato hanno comportato anche qualche velata minaccia via web da parte di alcuni sostenitori dell’attuale presidente Nicolas Maduro, che mi hanno additata come “una dell’opposizione”. Cosa che, invece di scoraggiarmi, mi ha stimolata a fare sempre di più. Perché questo è il fine unico che deve avere un giornalista: informare. Dare voce alle testimonianze (perché, come è giusto che sia, io scrivo non per sentito dire, ma sulla base di fonti verbali e documenti verificati) di chi ancora (r)esiste in quella terra.
«Perché – come ha scritto Vázquez Montalbán Manuel – anche se si sa che Dio è morto, che l’Uomo è morto, che Marx è morto, che io non sto molto bene e che nemmeno i profeti del già accaduto sanno con certezza cosa sia accaduto, bisogna credere in qualcosa, oltre che nell’esistenza del colesterolo». E io credo nel «bravo pueblo, que el yugo lanzó».