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Alberto Agazzani, addio al critico d’arte finemente irriverente

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REGGIO EMILIA, 16 NOVEMBRE 2015 – Un altro sussulto al cuore. Uno di quegli incontri “virtuali” che ti fanno pensare che – nonostante tutto – anche dai social può venire qualcosa di eccezionale. Un incontro che – fosse solo per osmosi – inevitabilmente finisce per lasciarti dentro una traccia indelebile.

“Porsi davanti ad un’opera d’arte con l’atteggiamento di chi intenda mettersi in discussione, rivolgendo all’arte domande e ricercandone risposte, senza preconcetti, senza pregiudizi, sforzandosi di andare oltre l’apparenza, la forma. La Bellezza è anche questo”. Questo, in sintesi, il pensiero del critico d’arte Alberto Agazzani, che oggi ha deciso di dire addio alla vita.

Il profilo Facebook di Agazzani era una finestra aperta su un mondo di raffinata bellezza e cultura, depurato da falsi miti ed ipocrisie varie. E, adesso che ha deciso di chiudere questa finestra – da cui filtrava la luce dalla sua “grande bellezza” – ci rimangono solo le ombre. Rimane l’amarezza di non comprendere tale scelta, di non poter più beneficiare delle esternalità positive che era capace di generare.

A volte, avere una mente fine e una grande sensibilità diventa una responsabilità, un fardello troppo grande da sopportate. Per questo,  le auguro che – in quest’ultimo viaggio – la terra le sia lieve.

Sic transit gloria mundi.

Rosy Merola – SinergicaMentis

“Sì, non esistono più galleristi (o sono rari come i panda albini) così come sono quasi estinti i critici. Una volta i galleristi investivano sugli artisti nei quali credevano, affidando ad iniziative di alto contenuto culturale (mostre, pubblicazioni, iniziative, ecc ecc) la promozione dei “loro artisti”. Coinvolgevano istituzioni pubbliche, critici ed intellettuali di spessore, documentavano e storicizzavano il lavoro e le opere dei loro protetti con pubblicazioni bellisime e destinate a vivere nel tempo. Sempre con un occhio agli affari, certo, ma uno solo e non ossessionato. La loro era soprattutto una sfida contro l’imbrutimento che sentivano dilagare, contro il mercimonio ad ogni costo, contro il trionfo della forma sulla sostanza. Oggi i vari Tiziano Forni, Antonio Braga, Claudio Malberti, Alfredo Paglione, Claude Bernard, jan Krugier, tutti personaggi coi quali ho avuto la fortuna di aver incrociato la mia vita, non esistono più. Al loro posto una pletora di bottegai senza arte né parte. Che, nel migliore dei casi, sanno riconoscere la qualità, ma che mortificano l’arte e gli artisti (ben felici d’essere mortificati: tutto ha un prezzo evidentemente, ed oggi non pare essere nemmeno così alto) come fossero bistecche o mobili in stile, messi in vetrina come merce qualunque, trasformati in oggetti di più o meno lusso da affibbiare al primo ricco o meno ricco che passa davanti alle loro botteghe. Sono quelli che s’affannano a far fiere, i nuovi mercatini e mercatoni delle nuove merci, pubblicità su riviste patinate, ma mai e poi mai una bella mostra in una bella galleria o in un bello spazio pubblico. E mai hanno il coraggio e la lungimiranza, frutto di passione per l’onnisciente prima ancora che per il denaro, di pubblicare bei libri, l’unica vera garanzia di immortalità per loro e per ciò in cui credono ed amano. E se organizzano mostre lo fanno sempre col cuore sui conti, prima ancora che sul risultato finale ed il cuore oltre l’ostacolo; lo fanno con l’orologio in mano e la vista corta: tutto e subito. Cataloghi che paiono brutte brochure di hotel per arricchiti senza gusto, testi di critici markettari (se pedofili o comunque pregiudicati meglio ancora) pronti a dir tutto ed il contrario di tutto pur di spillare denaro (‪#‎chisisomigliasipiglia‬), scelti non per l’ammirazione intellettuale che i Forni e Braga avevano per il Tassi, Soavi o Carluccio o Vallora di un tempo, no, ma perché sperano nel pezzullo gratuito sul giornale markettoso sul quale scrivono (e sul quale, ad esempio, un giorno leggi l’elogio di Mitoraj ed il giorno dopo la dannazione degli scultori a favore della santificazione della video arte) oppure gli fanno da agenti immobiliari, assicurando entrature pressso pubblici amministratori amici per trovare nuove piazze nelle quali piazzare le loro mercanzie… E gli artisti ci cascano, avidi pure loro di denaro e ben felici di confrontarsi con un tempo futuro che ormai coincide e muore nel presente. Così le loro opere, e con loro la loro vita, sparisce nel nulla, ingoiata da saloni e salotti, divani e lettoni coi quali abbinarsi, senza lasciare traccia, senza lasciare memoria. Al massimo un articolo on-line, di quelli che passano come tutto passa nella sostanziale insostanzialità della rete. Quanti ne vedo. “Eh sai, vende!”, ti dicono ancor prima di salutarti. Excusatio non petita, accusatio manifesta. Sì, vendono la tua vita e tu, artista magari pretenzioso, accetti di buon grado di essere messo in vendita accanto e come l’imbrattatele o il fotoritoccatore di turno, come nel banco di un fruttivendolo dove trovi i tartufi bianchi di Alba accanto ai porcini rumeni o, peggio, le primizie accanto alle arance di scarto a poco prezzo. “Ah, ma sai mi ha portato in fiera a Miami…”. bene, bravo: così la tua trasformazione da sciamano in merce da banco è globale. Perché non allora andare direttamente fra le mozzarelle e le caciotte di Eataly, non a caso oggi il mercatone preferito da markette e markettari dell’arte?”.

Alberto Agazzani

Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.