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Alda Merini, la poetessa dei Navigli

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Era il primo novembre del 2009 quando, all’ospedale San Paolo di Milano, nel reparto di oncologia, si spegneva Alda Merini, una delle principali poetesse del Novecento. Dotata di una personalità originale, audace e irriverente, ma soprattutto sensibile, troppo, al punto tale che la sua fragilità emotiva la portò ad essere ricoverata per lunghi periodi nell’Ospedale Psichiatrico Paolo Pini di Milano perché, “non sapevo che nascere folle, aprire le zolle potesse scatenar tempesta”[1].

Non sapeva, Alda, nata a Milano il 21 marzo 1931, che invece di “scatenar tempesta”, le sue poesie, patrimonio dell’UNESCO, avrebbero generato, in chi le legge, un turbinio di emozioni, sensazioni. Più di ogni altra cosa, probabilmente, la poetessa dei Navigli, amò la poesia, con cui ebbe un rapporto viscerale, “Se la mia poesia mi abbandonasse, come polvere o vento, se io non potessi più cantare come polvere o vento, io cadrei a terra sconfitta, trafitta forse come la farfalla e in cerca della polvere d’oro, morirei sopra una lampadina accesa, se la mia poesia non fosse come una gruccia che tiene su uno scheletro tremante, cadrei a terra come un cadavere che l’amore ha sconfitto”.

Infatti, aveva solo quindici anni quando Ἐρατώ, (Erato) – la musa della poesia d’amore per gli antichi greci – cominciò ad ispirarla. Tuttavia, altrettanto presto, nel ’47, iniziarono a manifestarsi i primi sintomi di quella che sarebbe stata una lunga malattia, che le ottenebrerà la mente, conducendola nell’inferno del primo di tanti ricoveri in un manicomio (un mese nella clinica Villa Turro), che Alda aveva descritto così:

“Il manicomio è una grande cassa

di risonanza

e il delirio diventa eco

l’anonimità misura,

il manicomio è il monte Sinai,

maledetto, su cui tu ricevi

le tavole di una legge

agli uomini sconosciuta”[2]

Nonostante ciò, la Merini non smise mai di amare la vita, “Io la vita l’ho goduta tutta, a dispetto di quello che vanno dicendo sul manicomio. Io la vita l’ho goduta perché mi piace anche l’inferno della vita e la vita è spesso un inferno…. per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara”. All’inferno dei ricoveri, si aggiunge, purtroppo, l’insensibilità del mondo esterno che non ammette la “diversità”. Così, alla poetessa non resta che constatare che, “Il manicomio che ho vissuto fuori e che sto vivendo non è paragonabile a quell’altro supplizio che però lasciava la speranza della parola. Il vero inferno è fuori, qui a contatto con gli altri, che ti giudicano, ti criticano e non ti amano”[3].

E ancora, “La verità è sempre quella, la cattiveria degli uomini che ti abbassa e ti costruisce un santuario di odio dietro la porta socchiusa. Ma l’amore della povera gente brilla più di una qualsiasi filosofia. Un povero ti dà tutto e non ti rinfaccia mai la tua vigliaccheria”[4]. Per Alda, la follia diventa materia prima da plasmare e sublimare in versi unici. Il dolore come qualcosa di catartico, “una terraferma. L’uomo sicuramente può contare sul dolore perché è l’unica cosa sua, da sempre. La gioia è errabonda. […] E’ il dolore che ci fa crescere ed è il dolore che ci fa morire. Se togliamo il dolore, togliamo il tavolo sul quale mangiamo ogni giorno. Senza dolore finiremmo costretti a mangiare per terra”[5], che trova il suo culmine nella ricerca forsennata e mai appagata, di colmare il suo vuoto d’amore. “Io canto l’amore, sono forse l’unica donna italiana che l’amore non l’ha avuto. Forse, proprio perché non l’ho avuto, l’ho cantato tanto”, dichiara la Merini.

Un canto struggente, profondo, vivo, carnale, “Il mio amore rovente come una lacrima è la stessa legge della vita. Pensavo che nei miei nascondigli, nei miei occhi pieni di canto, tu trovassi questo libro meraviglioso, che io ho scritto per te e che è la summa teologica dei miei desideri. Ti vorrei parlare dei desideri delle fanciulle, dei loro prati, delle loro selvagge giacenze e di come toccano le corde dell’amore con mani così silenziose che neppure Amore si sveglia. Tu hai sempre dormito e non ti sei mai accorto che sono venuta da te in forma d’anima e che non ti ho mai baciato perché un bacio ti avrebbe risvegliato dalla morte dell’uomo. Ma io che ti amo sono diventata immortale, e non m’importa se tu mi prendi per una mosca inutile, per un insetto che ti logora il sonno. Sono io che sono logorata da te e sono diventata un tessuto così rovinato e logoro che se tu mi vedessi non mi baceresti certo. Sono in fondo l’infula di un morto e non so come faccia a vivere perché tu non mi baci mai e non puoi baciarmi perché sono la tua anima”. Tuttavia, nessuna parola può rendere al meglio l’intensità dei suoi versi perché, Alda Merini, va vissuta, va fatta penetrare nell’intimità delle proprie tristezze, nelle pieghe dalla propria anima e usata come piccolo rito purificatore, perché:

                                                   

“Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive.

Quelle come me donano l’Anima,

perché un’anima da sola è come una goccia d’acqua nel deserto.

Quelle come me tendono la mano ed aiutano a rialzarsi,

pur correndo il rischio di cadere a loro volta.

Quelle come me guardano avanti,

anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro.

Quelle come me cercano un senso all’esistere e, quando lo trovano,

tentano d’insegnarlo a chi sta solo sopravvivendo.

Quelle come me quando amano, amano per sempre.

e quando smettono d’amare è solo perché

piccoli frammenti di essere giacciono inermi nelle mani della vita.

Quelle come me inseguono un sogno

quello di essere amate per ciò che sono

e non per ciò che si vorrebbe fossero.

Quelle come me girano il mondo alla ricerca di quei valori che, ormai,

sono caduti nel dimenticatoio dell’anima.

Quelle come me vorrebbero cambiare,

ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo.

Quelle come me urlano in silenzio,

perché la loro voce non si confonda con le lacrime.

Quelle come me sono quelle cui tu riesci sempre a spezzare il cuore,

perché sai che ti lasceranno andare, senza chiederti nulla.

Quelle come me amano troppo, pur sapendo che, in cambio,

non riceveranno altro che briciole.

Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso,

purtroppo, fondano la loro esistenza.

Quelle come me passano inosservate,

ma sono le uniche che ti ameranno davvero.

Quelle come me sono quelle che, nell’autunno della tua vita,

rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti

e che tu non hai voluto…

Alda Merini

Bibliografia

[1] Alda Merini, da Vuoto d’amore, a cura di Maria Corti, (Collezione di poesia ; 224), Torino, Einaudi, 1991

[2] Idem, pp. 92.

[3] La pazza della porta accanto, Milano, Bombiani. Edizione utilizzata: a cura di Guido Spaini e Chicca Gagliardo, (I grandi tascabili : romanzi & racconti ; 375), 2. ed., Milano, Bompiani, 1995.

[4] Terra d’amore di Alda Merini, 2003

[5] L’altra verità. Diario di una diversa, Milano, Rizzoli. Edizione utilizzata: con prefazione di Giorgio Manganelli, 5. ed. rinnovata, Milano, Scheiwiller, febbraio 2006.

Rosy Merola – SinergicaMentis

Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.