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Art&Finance: il realismo magico della scultura di Antonio Trotta

 

Art&Finance, in questo spazio, torna a virare sul mondo della scultura. Lo fa rendendo omaggio a uno scultore di origini cilentane, le cui opere sono state esposte in tutto il mondo: Antonio Trotta. Espressione artistica la sua che raggiunge l’apogeo nelle sculture marmoree, pur non disdegnando l’uso di altri materiali nobili e meno nobili. Attingendo alle sue esperienze di vita, le opere di Antonio Trotta sono spesso evocazioni del mondo classico, dei luoghi del cuore, dei poeti e scrittori del passato, del contesto storico-sociale che lo circonda. Memorie del tempo che fu che, inevitabilmente, sono accompagnate da una nota nostalgica. Si assiste così a una produzione artistica in cui elementi magico fantastici si intrecciano a concetti reali. Un modus operandi che tradisce la passione di Trotta per la letteratura, per poeti e scrittori quali Charles Baudelaire e Jorge Luis Borges. Un nubìvago, tra decadentismo e realismo magico.

«La sua è una scultura che si muove su una dualità assoluta e calzante tra forma e spazio, leggerezza e classicità, modularità e rigore, realtà e finzione. Con un approccio anche paradossale, che include sconfinamenti, ma con un unico filo conduttore, che permane da oltre mezzo secolo: il legame con la forma. È una scultura che – in particolar modo negli Anni Sessanta e nel decennio successivo – vive lo spazio, lo circoscrive, lo denota, lo prescrive, lo crea. E non rinuncia a interfacciarsi con altri medium, come la fotografia, il ricamo e la performance, ma sempre in relazione a una plasticità che è anzitutto scultorea», scrive Lorenzo Madaro in un articolo pubblicato su Artribune[1].

Tuttavia, nessuno può spiegare meglio le opere, l’arte, i moti dell’anima che guidano lo scalpello e trasformano la materia in qualcosa che colpisce l’occhio, la mente e il cuore, se non lo stesso artista:

«Se la parola cultura viene

dalla campagna

non v’è raccolta senza la

conoscenza del coltivare.

La raccolta nasce da un lungo

viaggio, durante il quale si

colgono le tracce di luce

rimaste dalle diverse culture

incontrate.

Si annoda il fagotto e si

ritorna da molto, molto lontano

da dove si pensa sia arrivata

l’arte.

Si cerca il luogo, si apre il

fagotto, si mostra e si da

in dono alla città.

da dove proviene la parola

civilizzazione.»

(“La raccolta”, Antonio Trotta, 2017. All rights reserved)

Parole cariche di significato che fanno emergere le radici e il vissuto dello scultore. Infatti, nato alla vigilia dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale, nel 1937 a Stio (SA), un Comune cilentano – date le condizioni socio-economiche che all’epoca caratterizzavano tutto il sud Italia – insieme alla famiglia, all’età di 12 anni, fu costretto a fare “fagotto” e a emigrare in Argentina, come racconta lo stesso Antonio Trotta («Il “chueco” fangio»[2], 1997/98): «Sbarcammo il primo dell’anno del ’49, da emigranti del Sud, poveri italiani del dopoguerra, più poveri e bisognosi degli albanesi e dei curdi che oggi sbarcano sulle coste pugliesi. A me sembrò subito un paradiso plotiniano. Ci installammo nel sud di Buenos Aires, a La Plata, nella periferia sud della Plata».

Esperienze di vita che, inevitabilmente, si riflettono sull’espressione artistica di Trotta, ne guidano la mano facendo pressione sul suo scalpello. Forse è proprio questa sorta di peso interiore che induce l’artista a cercare di esternare la sua arte conferendogli un po’ di quella leggerezza ben descritta da Italo Calvino, «[…] ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore». Ecco che le sue opere, nello specifico quelle in marmo, riescono in tale intento: lievi quasi come un velo di carta. Cifra indiscussa di Antonio Trotta, il quale «[…] trova nel suo lavoro una zona di rarefazione dove l’emozione si occulta e si mostra con gioco sottile, rallentando in chi guarda la partecipazione del cuore e mettendo in moto la mente, o meglio (come direbbe Nabokov), “eccitando la spina dorsale”», sottolinea la critica Marisa Volpi Orlandini.

Produzione artistica che, dopo tante parole, a questo punto è opportuno (virtualmente) mostrare, attraverso una limitata selezione di opere.

Titolo opera: Paestum
Autore: Antonio Trotta
Periodo: 1972/79
Tecnica: Rilievo e incisione
Materiale: Marmo bianco, travertino della persia
Dimensione: 330x240x5 cm
Collocazione: Collezione Versace
In mostra: 1983, Galleria Cesare Manzo, La mia retorica

 

Titolo opera: Il fagotto
Autore: Antonio Trotta
Periodo: 1985
Tecnica: Scultura
Materiale: Marmo
Collocazione: : Museo Antonio Trotta, Stio (sa)
(Fonte foto: www.antoniotrotta.it – All rights reserved)

 

Titolo opera: Il patio
Autore: Antonio Trotta
Periodo: 1981
Tecnica: Scultura, rilievo e incisione
Materiale: Marmo statuario
Dimensione: 292x252x4 cm
Collocazione: Museo Antonio Trotta, Stio (sa)
(Fonte foto: www.antoniotrotta.it – All rights reserved)

 

Periodo: 1982/1986
Tecnica: Scultura
Dimensione: 165x135x35 cm
Materiale: Marmo travertino turco
Collocazione: Museo Palazzo Reale, Milano
In mostra:
1986, Fondazione Europea Dragan, Le geometrie del lirismo;
1986, Galleria Artra, La raccolta;
1991, Galleria Dueemme il tempo della riflessione
Pubblicato in Poeti e parole
(Fonte foto: www.antoniotrotta.it – All rights reserved)

 

Titolo opera: L’Ulivo a occidente
Autore: Antonio Trotta
Periodo: 1991
Materiale: Bronzo e cristallo
Dimensione: 230x230x60 cm
Collocazione: Studio Framart, Napoli
In mostra:
1990, Giardini, XLIV Biennale di Venezia;
1990, Galleria Cardi, Teodora;
1993, Galleria Cardi, Lassù qualcuno ci ama?
Pubblicata in: Poeti e parole
(Fonte foto: www.antoniotrotta.it – All rights reserved)

 

Titolo opera: Diventarono voce
Autore: Antonio Trotta
Periodo: 1998
Tecnica: Mosaico
Dimensione: 180×125 cm
Collocazione: Galleria Omphalos, Terlizzi (Ba)
In mostra:
1997, Galleria d’arte moderna, Mosaico;
1998, Galleria Omphalos, Diventarono voce
(Fonte foto: www.antoniotrotta.it – All rights reserved)

 

Titolo opera: Calzini
Autore: Antonio Trotta
Periodo: 1997/1998
Tecnica: Scultura
Dimensione: 165x130x90 cm
Materiale: Marmo di Carrara
Collocazione: Collezione Ciocca, Manerbio (Bs)
In mostra:
2002, Chiesa di San Pietro in Valle e Galleria Astuni, Poeti e parole;
2004, Valente Arte Contemporanea, L’effimero reale;
2005, Vittoriale degli Italiani, Abiterò il mio nome;
Pubblicata in
Instituto di Tella- Experiencias ’68;
Quaderni di scultura contemporanea;
Poeti e parole;
Scultura italiana 1960-2004
(Fonte foto: www.antoniotrotta.it – All rights reserved)

 

Titolo opera: Sospiri
Autore: Antonio Trotta
Periodo: 1999
Tecnica: Scultura
Materiale: Marmo
Dimensione: 116×92 cm
(Fonte foto: www.antoniotrotta.it – All rights reserved)

 

Titolo opera: Dante
Autore: Antonio Trotta
Periodo: 2001
Tecnica: Rilievo
Materiale: Marmo bianco di Carrara
Dimensione: 67×33 cm
Collocazione: Galleria Astuni, Pietrasanta
In mostra: 2002, Chiesa di San Pietro in Valle e Galleria Astuni, Poeti e parole
Pubblicata in: Poeti e parole
(Fonte foto: www.antoniotrotta.it – All rights reserved)

 

Titolo opera: Charles Baudelaire
Autore: Antonio Trotta
Periodo: 2002
Tecnica: Scultura
Materiale: Botticino classico
Dimensione: 67×33 cm
Collocazione: Galleria Astuni, Pietrasanta
In mostra:
2002, Chiesa di San Pietro in Valle e Galleria Astuni, Poeti e parole;
2005, Galleria Disegno, Scultura Italiana 1960-2004;
2005, Vittoriale degli Italiani, Abiterò il mio nome
Pubblicata in: Poeti e parole
(Fonte foto: www.antoniotrotta.it – All rights reserved)

 

Breve biografiaAntonio Trotta nasce a Stio, in provincia di Salerno (non a Paestum (SA) come citato da diversi siti, n. d. r.) nel 1937. Insieme alla famiglia, all’età di 12 anni (nel 1949), lascia la sua terra d’origine e si trasferisce in Argentina. Lì inizia a muovere i primi passi in ambito artistico. Le sue opere sono state esposte in centinaia di mostre in tutto il mondo. Tra queste non si possono non citare le quatto Biennali di Venezia (1968, 1976, 1978, 1990). In particolare nel 1968, risiedendo ancora in Argentina, fu invitato alla Biennale di Venezia a rappresentare il Padiglione Argentino, esponendo tre opere: Alta tensione, Verifica e Accoppiamento (realizzate tra il 1967 e il 1969, con materiali poveri quali legno e fil di ferro). Fu in tale occasione che ebbe modo di conoscere Lucio Fontana. Oltre alla Biennale di Venezia, ricordiamo anche la partecipazione ad altre esposizioni: al National Museum di Osaka (1979); alla Galleria d’Arte Moderna di Roma (1980), Il Pac di Milano (1982, 1988, 1989); Biennale di Lione (1984). Parallelamente alla sua attività espositiva, dalla fine del 1969 fino al 1973, Antonio Trotta collabora con la Nizzoli Associati, la quale avvalendosi di un team di architetti, grafici, artisti e critici, realizza progetti d’architettura e urbanistica in Italia e all’estero. Nonostante una carriera di ampio respiro, nazionale ed internazionale, non dimentica le sue origini. Così, nel 2007, torna a Stio (SA), suo paese natìo – nel Cilento – dove inaugura il Museo archivio Antonio Trotta. Qui sono conservate opere, fotografie, documenti e materiale utile a preservare e mantenere viva la memoria storica dello scultore. Antonio Trotta muore a Milano, il 26 agosto 2019.

Rosy Merola

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[1] https://www.artribune.com/arti-visive/2017/01/antonio-trotta-scultura/

[2] http://www.antoniotrotta.it/il-chueco-fangio/

 

Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.