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Coronavirus, 19 marzo: per alcuni è un giorno di festa, per altri il “giorno del dolore”

Diario di Bordo – Data Stellare 2003.19
(19/03/20)

Caro Diario,

Per alcuni, oggi, è un giorno di festa (auguri a chi festeggia l’onomastico e a tutti i Papà!), per altri – ahinoi – non lo è. Non può esserlo. Non lo sarà più. Questa giornata, da gioiosa, per troppi è diventato un giorno di dolore. Ieri, purtroppo, questo “nemico” comune a tutti noi italiani – il Coronavirus – si è portato via altri 475 padri; madri; figli; nonni; zii; amici…

Il dolore, in parte, è anche mio. Come potrebbe non esserlo?!

Se chiudo gli occhi vedo sfilare – per le strade di Bergamo (che potrebbero essere le vie dei nostri paesi) – i camion dell’esercito pieni di salme. Mi sento affranta, inerme e anche un po’ in colpa. In fondo, a noi viene chiesto “solo” di restare a casa. A Dio piacendo, per noi “passerà anche questa stazione…”. Per chi giace in quelle bare e per i loro cari: NO!

Così, in questa giornata particolare, il mio pensiero va a quei papà che non ci sono più…

Era mio padre. Quello della foto un po’ sfocata nei necrologi di ieri. Era mio padre. Lo ricordo con una barba nera nera che mi insegnava a dare calci a un pallone nel parco sotto casa. Era mia madre. Quella signora elegante morta da sola in ospedale perché non si poteva entrare. Il dolore più grande. Lei. Da sola. Era mia madre. Che mi faceva posto nel letto grande quando avevo la febbre e mi sembrava, sempre, l’unica cura possibile. Era mio zio. Quel signore con gli occhiali che se n’è andato tra i tanti ieri. Era mio zio. Lo stesso che mi portava a giocare con i modellini di aerei e mi faceva volare restando con i piedi a terra. Era mia zia. La signora senza foto. Solo data di nascita e di morte. Era mia zia. Perché non possiamo neanche andare a casa sua a cercare una polaroid che la ritragga. Lei che a Natale mi ha regalato la prima macchina fotografica. Erano mio padre. Erano mia madre. Erano i miei zii, i miei vicini, i genitori, i parenti dei miei amici. Quelli che, adesso, non possiamo piangere. Quelli che, adesso, non possiamo abbracciarci per lenire il dolore. Quelli che tu non sai chi sono. Ma io sì. Quelli che, per qualcuno, sono “muoiono solo i vecchi”, “sì, ma erano già malati”, “ne muoiono molti di più per altre cause”. E, se sei tra quelli, vuol dire che questo, tutto questo, non ti ha davvero insegnato niente”.

(Gabriele Corsi, post su Instagram)

Rosy Merola

 

Lacrimosa
Lacrimosa dies illa,
Qua resurget ex favilla,
Judicandus homo reus.
Huic ergo parce, Deus:
Pie Jesu, Domine,
Dona eis requiem. Amen.
(Mozart, K 626)


Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.