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#FestivalSanremoHistory (2), musica e società: dall’eccessiva censura di ieri al laissez faire di oggi

 

Che Festival di Sanremo sarebbe senza qualche studiata o meno polemica? Domanda retorica, scontata e provocatoria. Perché, come insegna Oscar Wilde: «Nel bene o nel male, purché se ne parli». Così, nell’imminente 70esima edizione (LXX), a tener banco è la discussa partecipazione del trapper Junior Cally (ma tale “formula” è valida e applicabile per ogni edizione, presente passata e futura. Cambia il nome dell’artista ma il risultato non cambia). A scatenare forti polemiche, petizioni, richieste di censura e anche la sua esclusione dal concorso canoro, il testo della sua canzone “Strega”, risalente a qualche tempo fa. Un caso che diventa politico. Discusso, addirittura, come punto all’ordine del giorno nella seduta – dello scorso 21 gennaio – del Consiglio della Regione Liguria. In sintesi, oltre all’esclusione del trapper romano, il Consiglio regionale ha invitato la Rai a prendere tutti i provvedimenti necessari nelle sedi opportune al fine di evitare che il servizio pubblico contribuisca a diffondere messaggi come quelli di Junior Cally. Tanti rappresentanti del mondo della musica si sono mobilizzati pro e contro la censura. Tra questi, un duro attacco attraverso il web lo ha sferrato Red Ronny (qui il video: https://www.youtube.com/watch?v=PuTOrQJvG1E&fbclid=IwAR3eigvfI1HuwHev85la7UzCJEy5BU_5rcFYx6xQEx-bmX34wWopg3bby5o). Invece, ad opporsi alla censura, il cantante Francesco Gabbani che ha puntualizzato: «L’arte deve essere libera».

L’evoluzione della censura nel tempo – Eppure, la storia del Festival di Sanremo evidenzia che la musica non sempre è stata libera. Tutt’altro. Le cesoie della censura RAI più volte sono intervenute nel corso degli anni (non solo a Sanremo e sui testi delle canzoni). Non poche polemiche scatenò, ad esempio, “Papaveri e papere” di Nilla Pizzi (II Edizione, 1952). Arrivata seconda dietro “Vola Colomba”, eseguita dalla stessa interprete. Un brano visto come metafora del modo di fare di alcuni politici dell’epoca (in particolare, per la statura fisica non proprio alta, c’è chi ci vide un riferimento all’esponente della Democrazia Cristiana, Amintore Fanfani). A fare un po’ di chiarezza in merito a tale canzone fu lo stesso autore, Mario Panzeri che sottolineo: «Il testo di Papaveri e papere mi è stato suggerito dalla prosopopea di certi personaggi politici. Credo che anche con una semplice canzonetta si possa fare della satira di costume».

Come si può facilmente intuire, gli usi e costumi della società si riflettono e si scontrano con il controllo morale e ideologico del periodo di riferimento. A testimonianza di ciò, facendo un salto temporale dagli anni ’50 ai ’60, si può citare un brano del 1964, “Tu piangi per niente”, che prevedeva la doppia versione, una in chiave maschile e l’altra femminile. Il testo fu rimaneggiato in alcuni punti. Mentre l’uomo cantava: “[…] a che serve questa luna / se poi piangi e non mi baci / non far la stupida, non far la stupida / io voglio bene a te…“, per la donna il testo diventava: “[…] ma non vedi questa luna / perdoniamoci coi baci / sarò una stupida, sarò una stupida / ma voglio bene a te…“. Due versioni in cui la donna appare come una di quelle che sa stare un passo indietro rispetto all’uomo, per dirla all’Amadeus, il conduttore dell’edizione 2020 (frase, anche questa, che ha fatto storcere il naso a più di una persona). Con un altro salto temporale, arriviamo al 1971, al brano “4/3/1943” di Lucio Dalla, il cui titolo originale era “Gesù Bambino”. Ritenuto inopportuno per il riferimento religioso fu modificato. Si intervenne anche su alcuni versi originali tipo: “e ancora adesso che bestemmio e bevo vino / per i ladri e le put… mi chiamo Gesù Bambino”, modificato in “e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino / per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino”.

In sintesi, se negli anni ’50 si interveniva sostanzialmente per tutelare la morale pubblica, negli anni ’60 la censura agiva per questioni politiche, religiose e sessuali. Sono sempre quest’ultime a far intervenire il censore anche negli anni di piombo della Repubblica italiana. Decennio di lotte e di conquiste, caratterizzato – tra le altre cose – dall’entrata in vigore delle leggi sul divorzio e sull’aborto.  Dagli anni ’80 in poi, le maglie della censura si sono allargate, intervenendo sempre meno o per nulla, come evidenzia la cronaca dei nostri giorni.

Si passa dall’eccessiva censura di ieri al laissez faire dei tempi moderni. Se è vero che la nostra costituzione, nell’articolo 21, sancisce il diritto di espressione – il quale va sempre difeso senza se e senza ma –, allo stesso modo è da considerarsi inammissibile il voler “imbavagliare” qualsiasi forma di espressione d’arte perché, citando di nuovo Gabbani, questa deve essere lasciata libera. Tuttavia, non se la prenda a male il cantautore e polistrumentista di Carrara se qualcuno avrà da opinare in merito al fatto che definire arte ciò che compone Junior Cally è quantomeno eccessivo.

Così, se chi scrive è per la libertà di espressione, allo stesso modo è per la libertà dei telespettatori di esercitare – nel caso in cui il loro gusto estetico e la loro sensibilità non coincida con quanto il Festival di Sanremo quest’anno propinerà – un altro sacrosanto diritto: quello dell’uso del telecomando.

Perché, come cantava Renzo Arbore:

“[…] Tu nella vita

Comandi fino a quando

C’hai stretto in mano

Il tuo telecomando…”

Rosy Merola

 

#FestivalSanremo #SociologiadellaMusica #CostumeMusicaSocietà

Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.