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Gli intrighi del “Salotto buono”: I Ligresti

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Le ultime vicende che hanno visto come protagonista il gruppo Ligresti, non sono altro che la punta di un iceberg, formatosi nel tempo e alimentatosi grazie ai poteri forti della finanza e delle amicizie politiche del patriarca Salvatore. Ed è da lui che bisogna partire per poter comprendere quanto fino ad ora accaduto. Nato in Sicilia, a Paternò, da una famiglia benestante, Salvatore Ligresti, dopo aver conseguito la laurea in ingegneria, negli anni ’50, decide di trasferirsi a Milano. Qui, aiutato forse dalle sue origini siciliane, si avvicina a Michelangelo Virgillito, Raffaele Ursini e Antonino La Russa (padre dell’ex ministro Ignazio), anch’essi originari di Paternò. Da loro impara come muoversi nel mondo della finanza e, cosa più importante, riesce a farsi introdurre nel cosiddetto ‘Salotto Buono’.

Infatti, secondo i bene informati, sarebbe stato Antonino ad aprirgli la strada verso i poteri forti della Milano (da bere) anni Settanta (tra cui Enrico Cuccia, essenziale per l’ingresso di Ligresti in Mediobanca). Oltre a ciò, il giovane Ligresti, anche nella vita privata, sembra fare le mosse giuste. Infatti, nel 1966, si sposa con la figlia del provveditore alle opere pubbliche della Lombardia. Tutto questo complesso di cose, con molta probabilità, danno una bella spinta verso l’alto alla sua escalation nel mondo del mattone. Così, negli anni ’80, Ligresti risulta essere il più facoltoso immobiliarista milanese e, poco dopo, uno degli uomini più ricchi d’Italia. Parallelamente, in quegli anni, grazie anche a ‘protezioni’ importanti, quali quelle di Cuccia e di Craxi, comincia ad acquisire quote azionarie di società di grande spessore, partendo dal suo primo pacchetto di azioni della Sai ottenuto da Ursini (su cui si aprì un contenzioso visto che, per Ursini, si sarebbe dovuto trattare di una vendita simulata, ma per Ligresti si trattò di una transazione regolarmente pagata ed una sentenza gli diede ragione), a cui seguirono quelle della Pirelli (5,4 per cento), della Cir di Carlo De Benedetti (5,2), l’Italmobiliare di Giampiero Pesenti (5,8), e dell’Agricola Finanziaria di Raul Gardini (3,7). In particolare, la sua ‘specialità’ era quella di acquisire piccole quote azionarie (in linea con il modus operandi della finanza che conta, il quale si poggia, essenzialmente, su tre pilastri: le scatole cinesi; i patti di sindacato e le azioni di risparmio. Strumenti di cui Ligresti farà largo uso), che solitamente si aggirano intorno al 5%, (atteggiamento, quest’ultimo, che gli fa guadagnare il soprannome di “Mister 5 per cento”), ma che gli consentono, lo stesso, di controllare aziende e società.
Tuttavia, un’ascesa di tali proporzioni ed ‘appoggi’, non tarda a farsi accompagnare anche da problemi di tipo giudiziario. Così, il patriarca Ligresti finisce in carcere il 16 luglio ’92 (proprio a seguito di una sua deposizione, rilasciata nel corso dei mesi di detenzione in carcere, gl’inquirenti riescono ad arrivare a Craxi). Si susseguono una serie di altre vicende giudiziarie, anche se la tegola pesante per Ligresti arriva dall’inchiesta Eni-Sai (che, insieme a lui, vede imputati l’ex finanziere Sergio Cusani e Craxi). A seguito della condanna di Salvatore Ligresti a 2 anni e 4 mesi di reclusione nel 1992, a dare un forte appoggio alla famiglia per farla uscire dal brutto periodo che stava attraversando, ci pensa Mediobanca. Nello specifico, nel luglio 2001, al fine d’impedire alla Fiat di impossessarsi della Montedison (su cui il Lingotto aveva lanciato un’Opa), Mediobanca appoggia Ligresti, mettendolo nella condizione di acquistare, attraverso SAI, il 6,7% della compagnia d’assicurazione Fondiaria, fino a quel momento controllata dalla Montedison, con l’impegno di rilevarne, in seguito, un ulteriore 22,2%.

A porre, inizialmente, un freno alla suddetta operazione ci pensa la Consob, la quale stabilisce che, al fine dell’acquisto di Fondiaria, occorre essere più trasparenti lanciando un’Opa sul 100% del capitale. A causa di ciò, per poter procedere, Ligresti deve ingegnarsi al fine di trovare un escamotage. E ci riesce (nel 2002), grazie al supporto del gruppo di banche Jp Morgan Chase, Interbanca, Mittel e Commerzbank, prima acquista il pacchetto di Fondiaria, per poi rigirarlo alla SAI. Ecco che, da questo giro di valzer, ha origine il gruppo Fondiaria-SAI. Rigeneratosi, Ligresti può riprendere gli affari nel mondo dell’edilizia, non solo nel milanese, dove riesce ad aggiudicarsi la vecchia Fiera per realizzarci ‘City Life’, un modernissimo quartiere, e un’area in prossimità della stazione Garibaldi per costruirvi una “città della moda”, ma si spinge anche in altre città italiane quali, Torino, Capo Taormina in Sicilia, Firenze. Tutto questo, superfluo dirlo, grazie sempre agli appoggi politici di cui Ligresti gode (sia da parte di Berlusconi, che da parte del centro-sinistra).

Non pago, ‘Mister 5 per cento’ riprende le vecchie abitudini e, nel 2004, riesce ad arrivare nel consiglio di amministrazione della società editrice di quotidiani Rcs MediaGroup (che tra le altre cose, gestisce il Corriere della Sera e la free press City della stessa figlia di Ligresti, Jonella). In particolare, mediante la Premafin, la famiglia Ligresti si impossessa del 5.291% della società editrice e, allo stesso tempo, riesce a prendere parte al patto di sindacato che la controlla, facendo ricorso ad uno dei tre sopracitati ‘pilastri’. Tuttavia, per poterci districare un po’ nei meandri che conducono alla Premafin, centro nevralgico della galassia Ligresti, occorre far ricorso proprio ad un altro dei suddetti pilastri, ovverosia al meccanismo delle scatole cinesi. Infatti, mediante quest’ultimo, con modeste somme di capitali, è possibile controllare vaste attività a cascata. Per provare ad essere più chiari sul funzionamento: se, ad esempio, Tizio possiede il 51 per cento della società A, la quale a sua volta possiede il 51 per cento della società B, che detiene a sua volta il 51 per cento della società C, questo consentirà a Tizio di controllare C possedendo soltanto una minuscola parte delle azioni di C (una nota a margine: mediante i patti di sindacato si riesce ad evitare anche di controllare il 51 per cento di A).

In questo modo, per giungere a Premafin, occorre passare per diverse società aventi sede in Italia, Svizzera e Lussemburgo. Attraverso i tre figli del patriarca, Jonella, Giulia, Paolo, si arriva a Premafin grazie a tre società lussemburghesi (Hike, Canoe, Limbo) e una fiduciaria (Compagnia fiduciaria nazionale). In particolare: Giulia Maria Ligresti attraverso Canoe Securities SA; Gioacchino Paolo Ligresti mediante Limbo Invest SA; Jonella Ligresti tramite Hike Securities SA, attraverso le quote di capitale individualmente possedute (sottolineiamo che le quote, data la complessità della ricostruzione, si devono intendere prossime a quelli effettive), arrivano a detenere congiuntamente circa il 31% della Premafin, anche se tutte le quote sono intestate alla Compagnia Fiduciaria Nazionale Spa. In questo quadro, già così complesso, Salvatore Ligresti, per arrivare a Premafin, si avvale di un’altra società lussemburghese, la Starlife, la quale controlla totalmente Sinergia (in cima alla piramide), che a sua volta detiene il 60% della Imco.

Così, Sinergia e Imco detengono complessivamente circa il 20% della Premafin. Per essere precisi: Starlife controlla il 17.613% della finanziaria tramite Sinergia Holding di Partecipazioni Spa (10,112%) che, a sua volta, è controllata direttamente da Starlife SA, e Immobiliare Costruzioni IM.CO. Spa (7,501%), controllata da Starlife SA tramite Sinergia. In tutto ciò, il doppio filo che lega Salvatore Ligresti ai suoi figli è, ancora una volta, un patto di sindacato(1). Così, tirando le somme, la famiglia Ligresti possiede il 51% della holding Premafin (ricordiamo che è quotata in Borsa). Se si va a verificare cosa questa holding concretamente faccia, si arriva alla conclusione che fa poco o nulla. E’ semplicemente un contenitore (appunto una scatola cinese), contenente le azioni (il 36-38% ) di un’altra società, la Fon-Sai (compagnia di assicurazione). Quindi, ricapitolando, i Ligresti controllano il 51% della Premafin, che a sua volta controlla il 36-38% di Fon-Sai. A comandare le suddette società sono i figli di Ligresti, anche se, essendo quotate in borsa, vi sono anche tanti piccoli azionisti che congiuntamente possiedono l’82% (parco buoi) di Fon-Sai. Infatti, se si procede ad analizzare il possesso integrato (ovverosia la somma della quota di possesso diretto e di quella del possesso indiretto), il 51% della Permafin (società capogruppo, al vertice della piramide) e il 38% della società controllata (operativa) che sta sotto, i Ligresti possiedono il 18% della Fon-Sai (che comunque consente loro di comandare i base al meccanismo illustrato in precedenza), mentre il restante 82% è in mano ai piccoli azionisti, che non hanno nessuna voce in capitolo. Sotto la Fon-Sai, c’è un’altra società la Milano Assicurazioni, di cui la Fon-Sai possiede il 63%, mentre i Ligresti possiedono solo il 12% del capitale azionario, ma anche qui sono sempre loro che comandano.

Tutta questa struttura finanziaria, naturalmente, è a vantaggio dei Ligresti. Tuttavia, in questo valzer di scatole cinesi, accanto ai vantaggi, c’è anche il retro della medaglia che, in questo caso specifico, consiste nel progressivo lievitare dei debiti della galassia Ligresti e conseguentemente, anche del peso del debito sulle banche, visto che l’intero pacchetto del 51% della Premafin, è da tempo finito nelle mani delle banche a fronte dei crediti concessi dalle stesse. Tra queste, le più esposte risultano essere: Unicredit, Banca Intesa e Mediobanca, di cui Ligresti è azionista. Comunque sia, nel tentativo di ricomporre il complesso puzzle, dobbiamo ritornare ancora alla Premafin. Quest’ultima, infatti, al suo interno contiene anche il 5,5% del capitale della Rizzoli- Corriere della Sera, il 5% della Pirelli, il 4,2% di Gemina, il 3,9% di Mediobanca, l’1% di Assicurazioni Generali, lo 0,4% di Montepaschi, lo 0,3% infine di Unicredit.

A ciò si aggiunge anche il controllo di Immobiliare Lombarda. Inoltre, a partire dal 2005, mediante la Igli (società costituta dal gruppo Ligresti, dal gruppo Benetton e dal gruppo Gavio possiedono, di cui ciascuno dei tre soci detiene il 33,3% delle azioni), Premafin partecipa al controllo di Impregilo (nel 2006 Igli rilevò l’intera quota di Impregilo dalla Gemina in difficoltà, al prezzo di 155 milioni di euro, incrementando la propria partecipazione in Impregilo al 29,87%). Tra gli altri soci di Impregilo, è da evidenziare anche le Generali, con il 3,25% del capitale. In questo modo, tra partecipazioni in diverse società e connessi patti di sindacato, la Premafin, ergo Ligresti, diventa un elemento focale per gli equilibri politico-finanziari. Tuttavia, come già accennato, con l’incalzare della crisi economica (che si scaglia con maggior veemenza proprio sul mattone), i finanziamenti da Fondiaria-Sai verso altre società e vicende varie, anche l’impero Ligresti comincia a scricchiolare e rapidamente comincia a sprofondare, spingendolo sul baratro del fallimento, cosa che però si cerca in tutti i modi di scongiurare, in quanto non conviene a nessuno dei poteri forti coinvolti.

Giusto per dare qualche numero: la sola Fonsai, che nel 2007 aveva registrato un utile di 620 milioni, già nell’anno successivo comincia a vedere contrarsi gl’introiti che si portano a 91 milioni. Tuttavia, l’annus horribilis si concretizza nel 2009, quando si registra una perdita di bilancio di circa 390 milioni di euro e circa altri 157 nel primo semestre del 2010, dopo aver ottenuto un utile di 620 milioni. Così come era successo nel 2002, dieci anni dopo, è ancora una volta Mediobanca che cerca di dare il suo supporto a Ligresti (a cui si aggiungono anche Unicredit, Generali, Intesa San Paolo, Mps, Interbanca ed altri), ma soltanto per cercare di salvarlo dal fallimento che, tradotto in altri termini, significa dire salvare i propri interessi. Infatti, si stima che, in questi ultimi dieci anni, i crediti concessi da Mediobanca alla galassia Ligresti si aggirerebbero intorno ad un miliardo e cinquanta milioni.

In particolare, si tratterebbe di crediti subordinati, il che vorrebbe dire che, in caso di fallimento del gruppo dovesse sarebbero rimborsati per ultimi e quindi, con molta probabilità, non verrebbero affatto rimborsati. E così, tra una serie di vicissitudini, si arriva al capitolo Unipol, al “salvataggio” del gruppo Ligresti con una fusione a quattro tra Premafin, Fondiaria-Sai, Milano Assicurazioni e Unipol Gruppo Finanziario (imposta di fatto da Mediobanca e da Unicredit, principali istituti creditori della stessa Premafin e del gruppo Fonsai), al fallimento di Imco e Sinergia e alle ultime vicende che, in queste ore stanno infervorando gli ambienti economico-finanziari. Ma procediamo per gradi. Oltre a Mediobanca, Ligresti ha contratto debiti nei confronti di altre banche: Unicredit esposta per 183,3 milioni, Banco popolare (42,9 mln), Popolare di Milano (35,5 mln), General Electric (30,8 mln), Banca Sai (21 mln), Popolare di Sondrio (6,7 mln) Monte dei Paschi (6,2 mln), Cassa Lombarda (3,9 mln) Hypo (2,5 mln) e altri istituti per 1,2 milioni. E poiché le suddette “non si sono dimostrate disponibili a finanziarie direttamente l’accordo di ristrutturazione del debito di Imco”, come si legge nella sentenza (del 12 giugno 2012) dei giudici del Tribunale fallimentare di Milano, Filippo Lamanna, Roberto Fontana e Filippo D’Aquino, la quale procede sostenendo che “l’accordo, non è stato per nulla raggiunto” ed è ancora sottoposto a una serie di condizioni future e incerte. Per questo è del tutto inopportuna, oltre che ingiustificata, la concessione di un ulteriore rinvio della decisione”.

In questo modo, è stato dichiarato il fallimento di Imco e Sinergia, le holding della famiglia di Salvatore Ligresti, facenti capo al gruppo Fonsai. Nello specifico, ammonta a circa 400 milioni di euro il debito che ha portato al suddetto fallimento, di 335 milioni di euro è il debito nei confronti delle banche. Sono state accolte così le richieste del pm Luigi Orsi che sospetta di operazioni ancora in atto da parte di Imco e Sinergia. La sentenza prosegue sostenendo che, “le banche creditrici non si sono dimostrate disponibili a finanziare direttamente detto accordo di ristrutturazione, essendo l’operazione finanziaria affidata al Fondo Hines, il che dimostra come le stesse banche, anche sotto tale profilo, non abbiano dimostrato un’adeguata disponibilità al piano di ristrutturazione proposto dalla resistente, se non ricorrendo a back up facilities da erogare eventualmente e successivamente all’omologa dell’accordo di ristrutturazione e non anche a titolo di finanza ponte”.
Inoltre, lo scorso 19 luglio (2012), dopo sei mesi di braccio di ferro concernenti le trattative, in cui non sono mancati colpi di scena, Unipol riesce ad entrare nel gruppo Premafin-Fonsai, relegando i Ligresti al ruolo di piccoli azionisti di minoranza. Per arrivare a ciò, Unipol ha dovuto sborsare 339,5 milioni di euro. Nel frattempo, Premafin, a seguito della risoluzione del contratto di equity swap con Unicredit, ha aumentato dello 0,95% circa la propria partecipazione in Fonsai, oltre a sottoscrivere pro quota l’aumento di capitale assieme a Finadin, società dei Ligresti azionista di minoranza sia di Fonsai che di Premafin. Inoltre, in seguito all’esecuzione dell’aumento di capitale Premafin riservato a Unipol, quest’ultima ha “ereditato” una serie di partecipazioni che facevano capo ai Ligresti.

In dettaglio, secondo i dati diffusi della Consob sulle partecipazioni rilevanti con operazioni datate 19 luglio, a seguito del deposito presso il registro delle imprese dell’aumento di capitale tramite cui Unipol ha acquisito il controllo di Premafin. Tra le partecipazioni indirette di Finsoe, la holding che controlla Unipol, risultano: Mediobanca al 3,871%, Pirelli al 4,482%, Rcs al 5,461%, Alerion Clean Power al 4,908%, Banca Intermobiliare al 2,017%, Gemina al 4,185%, Industria e Innovazione al 4,548%. Tuttavia, Unipol si è già impegnata con Antitrust a vendere la quota in Mediobanca. Inoltre, nell’ambito della galassia ex Ligresti, Unipol possiede l’80,928% di Premafin e di conseguenza indirettamente il 36,709% di Fondiaria Sai e il 63,474% di Milano Assicurazioni. Ai tre figli di Ligresti rimane una quota appena sotto il 6% di Premafin (1,974% ciascuno Jonella e Paolo, l’1,977% Giulia) mentre Sinergia e Imco, le holding della famiglia in liquidazione riunite in Starlife, hanno il 3,857%. Lo 0,959% di Premafin è in mano a Vincent Bolloré. Il 2,594% è detenuto da The Heritage Trust e l’1,219% da Ever Green Security Trust.

Tuttavia, sul documento sequestrato dagli inquirenti, nello studio del legale, non compare alcuna firma in calce. E da Mediobanca è arrivata, in merito una secca smentita: “Nessun accordo con i Ligresti, né mai firmati documenti”. Comunque sia, l’intera vicenda ha del verosimile, se si pensa che sia Mediobanca che UniCredit hanno accumulato tanti di quei prestiti alla famiglia da essere in qualche modo ricattabili. Nello specifico, Mediobanca è esposta su FonSai per un miliardo (il 15% del suo capitale netto), mentre UniCredit lo è per 500 milioni. A seguito di tutto ciò, l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, risulta indagato per il reato di ostacolo all’autorità di vigilanza nell’ambito dell’inchiesta condotta dal sostituto procuratore di Milano, Luigi Orsi. Indagato per il medesimo reato è finito anche il presidente onorario di Premafin e Fondiaria-Sai, il patriarca Salvatore Ligresti.

In particolare, il pm Orsi starebbe indagando sull’esistenza o meno del suddetto accordo, il cui testo sarebbe stato firmato da Salvatore Ligresti e da Nagel lo scorso 17 maggio, secondo il quale alla famiglia Ligresti verebbe corrisposta una buonuscita di circa 43-45 milioni oltre una serie di benefit. Naturalmente, a seguito di ciò sono partite, nei giorni scorsi, da Mediobanca, (su richiesta anche della Consob), la smentita, “Su richiesta della Consob, Mediobanca comunica di non aver stipulato alcun accordo con la famiglia Ligresti nell’ambito del progetto di integrazione del gruppo Unipol con il gruppo Premafin. Si precisa inoltre che nell’ambito di detto Progetto Mediobanca ha sottoscritto i seguenti accordi, tutti noti al mercato: con Premafin, la convenzione di ristrutturazione del debito unitamente alle altre banche del pool; con FonSai e Unipol, i mandati a promuovere il consorzio di garanzia per i rispettivi aumenti di capitale e, unitamente alle altre banche partecipanti al consorzio, i contratti di garanzia”, si legge su una nota di Mediobanca del 27 luglio scorso. E, secondo i rumors, sarebbero in corso una serie di colloqui tra vertici e azionisti della società, tutti orientati verso le dimissioni di Alberto Nagel dalla carica di amministratore delegato.

Vedremo come si evolverà la vicenda e, soprattutto, come tutto questo si ripercuoterà sull’operazione Unipol-FonSai nel caso in cui venisse accertato che l’accordo è stato davvero stipulato.

Rosy Merola – SinergicaMentis

(Foto: milano.ogginotizie.it)

Note:
(1) Patto di sindacato: Accordo attraverso il quale due o più azionisti si impegnano a comportarsi in un determinato modo nelle attività aziendali, per esempio nell’espressione del voto durante l’assemblea. Modalità di controllo molto diffusa, ha la funzione di accentrare di fatto il potere nelle mani di un gruppo ristretto di azionisti. I patti di sindacato possono essere di diverse tipologie, a seconda del vincolo stabilito tra gli azionisti, per esempio il sindacato di blocco, che è un patto tra gli azionisti che vincola il trasferimento di quote di azioni, impedendo a un socio di vendere il proprio pacchetto azionario, per evitare che le azioni della società siano acquistate da soci non graditi alla maggioranza di controllo, oppure il sindacato di voto, che impegna gli azionisti del patto a votare in una determinata maniera o a non votare affatto in certe circostanze, con lo scopo di esercitare meglio il controllo sulla società. Le società quotate o le società che controllano società quotate devono comunicare alla Consob entro 5 giorni dalla loro stipulazione i patti parasociali e pubblicarne un estratto sulla stampa entro 10 giorni (Fonte: Il Sole 24 ore).
Fonti:
– Oddo G., Ligresti, i debiti e oltre 550 milioni di minusvalenze…, www.ilsole24ore.com, 29 giugno 2010
– Penati, Bisogna salvare il soldato Ligresti, www.repubblica.it, 29 maggio 2010
– Pons G., La bolla Premafin tiene a galla l’impero Ligresti, www.repubblica.it, 10 luglio 2010
– Riva M., Capitalismo da Medioevo, www.espresso.repubblica.it, 2 luglio 2010
Altri approfondimenti sono stati tratti anche da: Il Fatto Quotidiano; contributi audio-visivi tratti da Servizio Pubblico.

Rosy Merola

Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.