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#ItalyStyle: la formula “magica” di Enrico Gasperini, Fondatore e Presidente di Digital Magics

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Nell’intento di raccontare ed evidenziare il lato positivo e propositivo delle eccellenze italiane attive sul territorio, da mesi seguo l’impegno di Digital Magics, uno degli incubatori eccellenti di startup innovative. Tuttavia, per comprendere meglio il modus operandi, la formula “magica” di tale società – soffermandomi anche su argomenti quali innovazione, made in Italy digitale, startup – ho rivolto alcune domande a Enrico Gasperini, Fondatore e Presidente di Digital Magics.

Quest’anno, Digital Magics compie dieci anni. Infatti, è stata fondata da lei nel 2004. Nel 2008 ha iniziato a operare come incubatore certificato di startup innovative digitali. Un trend in ascesa, che vi ha portato – nel luglio 2013 – a quotarvi su AIM Italia, il Mercato Alternativo del Capitale dedicato alle piccole e medie imprese italiane, organizzato e gestito da Borsa Italiana. In breve, può tracciare un bilancio di questi primi dieci anni di attività?
«Sono stati dieci anni intensi, che hanno visto l’emergere – sul mercato italiano – di un ecosistema, quello dell’innovazione, che prima non c’era o che, comunque, era soltanto accennato. Un periodo in cui si è formata – sul nostro mercato – la cultura del “venture capital”, del capitale di rischio e dell’investimento in equity in nuove compagnie e, in particolare, nel comparto del digitale. Per noi è stato un periodo in cui abbiamo “incubato”, costruito circa cinquanta società digitali – startup. Abbiamo completato il ciclo delle vendite delle stesse, realizzando – quindi – i primi exit di 6 startup incubate. Abbiamo investito circa 15 milioni di euro, a cui si aggiungono circa 5 milioni da parte del nostro Digital Magics Angel Network. Siamo cresciuti –- anche dopo la quotazione – fino a diventare uno dei principali hub del Paese per la costruzione del Made in Italy digitale. Siamo, quindi, soddisfatti per il percorso fatto fin qui. Tuttavia, siamo ancora a metà strada del nostro percorso. C’è ancora tanto da fare. L’Italia, sotto questo punto di vista, è molto indietro. C’è molto da costruire, in un comparto, come quello del digitale, che sta andando molto velocemente».

Può spiegarci meglio cos’è un venture incubator e in che cosa consiste la vostra formula “magica”?
«Un venture incubator è una società di servizi e di investimenti. Da un lato, fornisce i servizi primari che servono per l’accelerazione di nuovi team digitali. In pratica, trasforma –- insieme agli imprenditori –- le idee in aziende. Dall’altro, come investment company, investe il proprio capitale nelle startup incubate,  sostenendo così lo sviluppo delle startup e le successive fasi di crescita. Quindi, si tratta di una figura ”ibrida” –- particolarmente adatta in fase di “early stage” –-, ovvero nella prima fase di sviluppo delle imprese. La nostra “formula magica” –- che ci contraddistingue –– è quella di riuscire a operare con un mix originale di servizi e di esperienze del nostro team. Ciò incrementa le probabilità che una neoimpresa digitale possa nascere e svilupparsi, rispetto all’idea di partenza. Il nostro incubatore, in questi anni, ha  fondato circa 50 imprese. Di quest’ultime, solo 4 non ce l’hanno fatta. Questo è indice di grande successo perché –- nel nostro hub –- le possibilità che gli imprenditori riescano a realizzare il proprio sogno sono maggiore che altrove. In pratica, in questi anni, il lavoro che abbiamo fatto è stato quello di selezionare un team di spessore, in grado di fornire –– in sinergia –- una serie di servizi, volti a supportare i giovani creatori, talenti e neoimprenditori. Tutto ciò, al fine di aumentare la possibilità che questi ce la facciano, non lasciandoli soli in un Paese –- come il nostro –– abbastanza ostile al cambiamento, all’innovazione e alla creazione di nuove imprese».

Attualmente, la vostra società vanta in portafoglio 39 startup (tra cui: 3 nel settore e-commerce; 7 startup digital advertising; 13 digital media; 5 B2B tech services; 5 financial tech e 4 travel tech). Inoltre, stimate di arrivare – a fine 2014 – ad avere 45 società attive. Essendo Digital Magics uno degli incubatori – hub “eccellenti” nel comparto digitale, diverse sono le potenziali startup che si rivolgono a Voi. Tuttavia, non tutte – ovviamente – vengono scelte e supportate. Qual è il “quid” in più che rende una startup appetibile per Digital Magics?
«Tre sono le considerazioni importanti che facciamo. Innanzitutto, la qualità dell’idea e del team: ci deve essere un’idea originale, con un buon team e una buona competenza, sia di natura tecnologica, che di natura business. Questo è uno degl’ingredienti più importanti. Ma, ce ne sono altri due, altrettanto rilevanti. Noi operiamo su un mercato particolare, caratterizzato da una forte crescita del mercato digitale. Allo stesso tempo, si tratta di un ecosistema non del tutto agevole, che non favorisce le aziende, se non particolarmente capitalizzate. All’inizio, cerchiamo di far crescere e di dimostrare la validità dell’idea di un’impresa sul mercato italiano. Ma, lavoriamo anche sulla base dell’opportunità che l’idea possa nascere e svilupparsi anche a livello globale. La terza considerazione riguarda noi stessi. Riusciamo ad applicare la nostra “formula magica”, quando abbiamo la possibilità di “scatenare” anche la nostra capacità di aiutare, di supportare l’imprenditore, attraverso la nostra esperienza, le nostre relazioni strategiche e di business. Ci sono alcuni casi in cui (per esempio in determinati settori digitali), il nostro lavoro di affiancamento, può risultare più efficace e avere successo. Riassumendo, abbiamo questa triade: 1) validità dell’idea e del team; 2) le opportunità sul mercato italiano; 3) la nostra capacità di supporto. Sull’insieme di queste tre considerazioni basiamo la nostra scelta».

A settembre, per la prima volta, Digital Magics ha preso parte al “Lugano Small & Mid Cap Investor Day”, quest’anno alla sua quinta edizione. Per gli organizzatori è stato un successo. Cosa, invece, ha significato per voi essere presenti in tale contesto?
«In generale, è stato un successo. Per noi è stato molto utile essere presenti. Lugano rappresenta un mercato molto importante. Infatti, ci sono una serie di fattori che rendono interessante anche quel contesto. Questo, sia sotto il profilo degli investitori –- data la loro attitudine a investire nelle piccole e medie imprese italiane –, sia perché quello elvetico è un mercato dove sta nascendo un importante hub nel settore digitale. La Svizzera, in particolare, ha un ecosistema relativo al comparto digitale, più avvantaggiato del nostro in rapporto al PIL. Rappresenta, quindi, un importante mercato di sbocco, che Digital Magics sta cercando di testare».

Rimanendo a Lugano, come ha puntualizzato Anna Lambiase, CEO di IR Top, da tale incontro è emerso che: «L’internazionalizzazione resta uno dei punti cardine tra le linee strategiche aziendali». Entrando un po’ nel merito, secondo lei, l’internazionalizzazione nel segmento digitale, può avvenire seguendo il percorso che caratterizza le aziende che operano nei settori più tradizionali (ovvero, giusto per essere più chiara, come da “manuale” indica il “Diamante di Porter”: condizione dei fattori; condizione della domanda, settori industriali e correlati di sostegno; strategie, struttura e rivalità delle imprese; caso e Governo), oppure è più opportuno calibrare la strategia di penetrazione in nuovi mercati rapportandosi alle peculiarità del comparto digitale?
«Il comparto del digitale è particolare. Un’ impresa che vuole emergere in tale contesto, tende a essere globale. Sintetizzando, si può dire che ci sono due modelli aziendali: uno tradizionale, legato a determinate realtà, al territorio; un secondo modello globale. A tal riguardo, Digital Magics – visto il settore in cui opera –- ha l’esigenza di gestire delle startup che possano diventare globali. Mentre, per la maggior parte delle aziende appartenenti al primo modello (quello tradizionale), l’internazionalizzazione rappresenta un’ opzione, nel nostro caso molto spesso è una necessità. Dobbiamo concepire neoimprese che, potenzialmente, possano diventare globali. Questo perché, per il solo fatto che sono sul web, sono accessibili in tutto il mondo. Se, da un lato, ciò rappresenta un’opportunità, dall’altra per le startup digitali –- trovandosi a dover competere con concorrenti globali – l’internazionalità diventa una necessità».

Restando nell’ambito del mercato del digitale, quest’ultimo si trova all’inizio del suo ciclo di vita. Si è, quindi, ancora nella cosiddetta fase di sviluppo. Ciò significa che c’è un buon margine di spazio per le aziende e – soprattutto – per le startup, di inserirsi e di sfruttare rilevanti opportunità di leva. Tempisticamente, secondo lei, è questo il momento opportuno per agire e investire nel digitale?
«In questo momento, gli investimenti nel settore tecnologico sono enormi in tutto il mondo. In Italia siamo partiti tardi. Solo da poco si sta lavorando per costruire un ecosistema anche nel nostro Paese, che lo renda adatto ad affrontare sfide di questo tipo. Allo stesso tempo, è un momento in cui diversi segmenti del mercato del digitale stanno crescendo molto. In alcuni casi si registra una crescita a due cifre (ad esempio nel commercio on line). Si tratta, quindi, di un momento decisamente favorevole per chi vuole investire in questo settore, ancora non saturo. Un’opportunità per costruire il comparto del made in Italy digitale. Se qualcuno sostiene che non abbiamo alcuna possibilità di competere con i grandi centri di sviluppo internazionali –- come la Silicon Valley, Londra, Germania, Israele – io replico dicendo che, comunque, in ogni Paese (anche in quelli emergenti), c’è la possibilità per le startup digitali locali di cogliere opportunità di sviluppo industriale, in alcuni casi molto meglio delle compagnie aziende globali. Ci sarà, quindi, un grosso spazio per il made in Italy digitale –- per le neoimprese nate, sviluppate e operanti sul mercato italiano – così come è successo in altre nazioni. Se, oggi, il nostro digital PIL – ovvero la componente del nostro PIL costituito da attività e servizi erogati attraverso internet – vale poco più che 2 punti percentuali, negli altri Paesi europei tale percentuale varia dai 5-10 punti. Nei prossimi anni, si assisterà a un’opportunità molto importante anche da noi, per lo sviluppo delle nostre startup digitali. E, quindi, questo è il momento giusto per poter investire nella maniera più seria nel comparto digitale. Ciò è valido sia per le startup, che per le aziende che hanno già qualche anno di vita. Ci saranno molte opportunità sia per le aziende nella fase iniziale, che per quelle già in attività. Tantissimi sono i “talenti” nel nostro Paese, oltre che aziende ancora piccole, ma dalle grandi potenzialità. Ritengo che, forse, questo sia uno dei rami con le più alte possibilità di sviluppo, così come è avvenuto negli altri Paesi».

Secondo lei, si può trovare un punto d’incontro per fare interagire il made in Italy tradizionale con quello digitale?
«A mio avviso sì. Il made in Italy, per essere forte, dovrebbe reggersi anche sul digitale. Le nostre eccellenze su settori importanti –- come moda, turismo, food – dovrebbero assecondare questo tipo di opportunità. Si deve cercare di trovare un equilibrio, di tipo utilitaristico, fra le caratteristiche innovative delle startup digitali e le nostre eccellenze tradizionali. Questa potrebbe essere una chiave di successo competitiva rispetto agli altri Paesi. Io ricordo sempre che, comunque, l’Italia rimane una delle nazioni più importanti nel settore del turismo. Il fatto che non si sia investito nel nostro Paese in attività turistiche digitali –- nel cosiddetto travel tech – è stata, fino ad oggi, la perdita di una grossa opportunità. Siamo molto bravi in questo settore, perché lasciare agli americani, o agli altri europei, l’intermediazione elettronica del turismo, quando possiamo fare da soli?. Questa è una considerazione che sottolinea, appunto, che si può avere l’unione fra tradizione e innovazione tecnologica anche in questo settore».

Per dovere di cronaca, mi tocca fare un po’ l’avvocato del diavolo. Di recente, “The Economist”, ha pubblicato un report dal titolo: “La tecnologia non sta funzionando”, aggiungendo che la rivoluzione digitale deve ancora adempiere alla sua promessa di più alti livelli di produttività e lavori migliori. A margine dell’articolo, l’autore chiama in causa i Governi delle economie industrializzate, rei – secondo lui – di non essere stati in grado di gestire in maniera appropriata questa rivoluzione tecnologica. Se fosse davvero così, secondo lei, c’è il rischio che tutto ciò si possa trasformare in una “bolla tecnologica”, assimilabile a quella finanziaria che –- allontanandoci in parte dall’economia reale –- ha dato origine alla crisi del 2008?
«Da questo punto di vista, oggettivamente, siamo nel pieno di una terza rivoluzione industriale. Da un lato, la varietà delle tecnologie di base, congiuntamente con l’evoluzione dei servizi offerti dalle banche, in tutto il mondo, stanno trasformando radicalmente l’economia del pianeta. Il fatto che poi, le politiche d’investimento legate a questo comparto, possano generare o meno delle bolle finanziarie –- come avviene nel 2000, agli esordi di questa rivoluzione – è difficile da prevedere. Comunque, la mia impressione è che le aziende che, in questo momento, stanno operando su tale comparto – le grosse internet company – abbiano dei fondamentali straordinari. Siamo, a differenza di quanto successo all’inizio del 2000 –- sotto il profilo dei numeri –- molto lontani da quelli di una bolla speculativa. Naturalmente, potranno succedere tante cose. Tuttavia, sono convinto che sia in atto una rivoluzione irreversibile nell’economia mondiale dove, gli attori che emergeranno, saranno società con una vita durevole».

In merito all’approccio dei vari Paesi a quest’onda tecnologica, l’Italia a che punto è?
«La distanza del nostro Paese rispetto all’economie più avanzante, per quanto concerne lo sviluppo di un ecosistema per l’innovazione, è molto importante. Come evidenziano i dati diffusi in questi giorni, in Germania – che attualmente rappresenta la nazione con i più alti tassi di sviluppo in questa tipologia di investimenti – nell’ultimo trimestre gli investimenti in startup da parte di venture capitalist hanno sfiorato una quota di 1,2 miliardi di euro. Invece, in Italia, nello stesso periodo di riferimento, si parla di 20-30 milioni di euro in investimenti a trimestre. Stiamo parlando di una distanza di 20-50 volte rispetto a Berlino. Da ciò si evince che siamo molto indietro, visto che siamo partiti solo negli ultimi due anni. Dobbiamo, quindi, recuperare velocemente questo gap».

Un aiuto importante alle imprese e startup nostrane viene da Digital Magics. Tra i vostri diversi interventi, lo scorso 16 ottobre – a Napoli – è stato presentato ufficialmente il Business Angel Club (BAC): un network di investitori per sostenere le startup e l’innovazione nel Sud Italia. Davvero una boccata di ossigeno per chi opera in queste aree. Può spiegarci meglio in cosa consiste e gli obiettivi che vVi proponete di raggiungere?
«Uno dei modi principali per cercare di recuperare il gap, è quello che i tanti imprenditori attivi in Italia si organizzino, attraverso il meccanismo di veri e propri club. Occorre, quindi, sensibilizzarli sul fatto che investimenti e supporto a questo tipo di aziende possano coesistere. Questa formula (BAC) –- che prima abbiamo applicato a Milano con il Digital Magics Angel Network, che adesso stiamo applicando al Sud e anche in altri territori – unisce la forza imprenditoriale italiana e anche la disponibilità a investire da parte di imprenditori attivi in altri settori, con la nostra capacità di selezione, di presentazione e di supporto di questo tipo di business nuovi. La somma di queste due capacità, secondo me, è la forza più grande che ha il nostro Paese. Si ricollega un po’ a quanto detto prima sul made in Italy. Se riusciamo a unire le forze dell’imprenditoria tradizionale, con quelle dell’imprenditoria nuova e digitale, abbiamo in Italia delle risorse eccezionali che provengono proprio dal privato. Senza, quindi, lamentarci del mancato supporto del settore pubblico, si possono avere risorse rilevanti che possono servire per far nascere e sviluppare il comparto del digitale. Da qui l’idea di estendere l’esperienza sviluppata a Milano, in altri territori, caratterizzati da imprenditori attenti, pieni di passione e di competenza. Insieme si può fare tanto».

Lei, nella precedente domanda, ha accennato al settore pubblico. Di recente, in Italia, si sta assistendo a qualche piccolo passo da parte di quest’ultimo. Mi riferisco, ad esempio, ad alcuni bandi, ai cosiddetti voucher digitale. In base a quanto da lei sostenuto rispetto al settore privato, qual è il ruolo che dovrebbe avere il pubblico nel comparto digitale?
«In un comparto molto delicato e anche difficile, come quello dell’innovazione, tutti i governi del mondo –- anche quello americano – sono molto più lenti. In generale, in tutti i Paesi del mondo, la ricerca è sempre sviluppata, insieme, da pubblico e privato. Il problema è come poter realizzare questa buona sinergia anche nel digitale. In particolare, pubblico e privato hanno dimostrato di poter funzionare bene quando lo Stato si fa innovatore. Quando favorisce la raccolta del capitale a rischio e gli investimenti. Tutti i buoni modelli nel mondo, si basano sul fatto che lo Stato partecipa – in qualche modo – al rischio delle imprese nuove. Uno dei problemi riguarda proprio la costruzione dei capitali da investire. Grandi esempi, in tal senso, vengono da Paesi come — oltre agli USA – Israele, Germania, Inghilterra, dove lo Stato è molto presente negli investimenti, insieme al settore privato, nella prima fase di vita delle startup. Tuttavia, pur essendo importante, è inutile aspettare che lo Stato intervenga nel settore. Secondo me, ce la possiamo fare – comunque –- unendo le forze».

Infine, avendo iniziato l’intervista parlando delle vostre origini, concentriamoci sul futuro. La presenza di Digital Magics all’evento di Lugano – oltre che finalizzato a entrare in contatto con nuovi investitori – è stata anche un’opportunità per testare il terreno in una prospettiva futura di ampliamento delle vostri sedi anche all’estero? Da buon pioniere – come ha dimostrato di essere – ha già in mente delle sfide future che ci può anticipare?
«Prima che all’estero, stiamo valutando l’idea di uno sviluppo territoriale molto importante in Italia. Siamo partiti da Milano, ma vogliamo allargarci in altri territori, costruendo altre 5- 9 sedi in altrettante città italiane. Una di queste è, appunto, Napoli. Vogliamo andare a lavorare con i territori, per costruire altri network di investitori, applicando la nostra “formula magica”. Tutto ciò per far crescere il settore del digitale nelle varie zone del Paese, sfruttando le eccellenze e i tanti talenti presenti in Italia. Allo stesso tempo, stiamo valutando anche l’opportunità di aprire delle sedi anche in Europa. Tra le nazioni prese in considerazione, c’è anche la Svizzera. Ma ci sono anche altri territori in cui il nostro modello può essere replicato. Comunque, ciò che ci proponiamo è di consolidare maggiormente la nostra leadership come importante hub, per quanto riguarda gli investimenti nelle tecnologie made in Italy digitali nel Paese. Allo stesso tempo, cercheremo di far crescere ed arricchire il nostro portafoglio di startup innovative digitali. Vorremmo contribuire a costruire un segmento di forte crescita, profittevole e di grande sviluppo, nel comparto del digitale italiano. Ci siamo quotati per questo. In futuro, proveremo a quotare anche le startup che abbiamo al nostro interno. È ciò che ci proponiamo di fare, attraverso la nostra formula originale che, secondo me, ben si adatta alle peculiarità del nostro Paese. Soprattutto in questa fase di sviluppo. In questi anni, infatti, abbiamo costruito il progetto, adattandolo a questo contesto. Lo abbiamo messo a punto, in modo tale che abbia le gambe molto lunghe per camminare in futuro».

Sito web: http://digitalmagics.com/

Rosy Merola

Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.