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Per ricordarsi di ricordare: il Giorno della Memoria parte dal buio del “BINARIO 21”

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“Arrivati alla Stazione Centrale, la fila dei camion infilò i sotterranei enormi passando dal sottopassaggio di via Ferrante Aporti; fummo scaricati proprio davanti ai binari di manovra che sono ancora oggi nel ventre dell’edificio. Il passaggio fu velocissimo: SS e repubblichini non persero tempo, in fretta, a calci, pugni e bastonate, ci caricarono sui vagoni bestiame. Non appena un vagone era pieno, veniva sprangato e portato con un elevatore alla banchina di partenza. Fino a quando le vetture furono agganciate, nessuno di noi si rese conto della realtà. Tutto si era svolto nel buio del sotterraneo della Stazione, illuminato da fari potenti nei punti strategici, tra grida, latrati, fischi e violenze terrorizzanti. Nel vagone al buio, c’era un po’ di paglia per terra e un secchio per i nostri bisogni”.

Questa è la straziante testimonianza di Liliana Segre che, il 30 gennaio 1944, all’età di tredicianni, fu costretta a prendere quel maledetto treno, per essere deportata. La sua “colpa”: essere ebrea. Su quel treno, che conduceva dritto all’inferno di Auschwitz, ammassati come animali, erano in seicentocinque. Arrivati a destinazione, quattrocentosettantasette, tra cui il padre di Liliana Segre, vennero uccisi subito. Altri 108 morirono prima della liberazione da parte dei russi. Solo in venti sopravvisero a quell’orrore.

L’uniche parole di solidarietà, ricorda Liliana Segre, vennero dai detenuti di San Vittore, dove gli ebrei italiani erano stati rinchiusi dopo l’arresto, “Quando ci hanno messi in marcia verso la stazione donne, uomini, vecchi, bambini, in uno strano corteo, soltanto i detenuti di San Vittore hanno gridato “coraggio”, hanno capito l’assurdo, ci hanno dato quel che avevano da mangiare e per stare caldi”. Continua Liliana Segre, che ha dovuto aspettare cinquant’anni, prima di potersi fare “memoria” da sé, “A calci e pugni fummo caricati su un camion e portati alla stazione Centrale. La città era deserta. I milanesi non provarono alcuna pietà per noi: restarono in silenzio dietro le loro finestre”[2].

Ed è in quel maledetto “binario 21”, proprio per ridare voce e dignità a chi ne fu disumanamente privato che, la città di Milano, ha deciso di far sorgere il Memoriale italiano, un vagone piombato e il filo spinato in alto, la cui prima pietra è stata deposta il 26 gennaio 2010, da Marco Szulc, figlio della Shoah, mentre nella giornata di ieri è stata posata la prima targa commemorativa dei convogli partiti dal binario 21 della Stazione Centrale di Milano in direzione del campo di concentramento: “30-1-1944, Milano-Auschwitz“. La suddetta targa è stata posta su una delle banchine del Memoriale della Shoah, di fronte a dove verrà eretto il “Muro dei Nomi”. Questa è la prima di 20 targhe che ricorderanno tutti i convogli di deportati partiti dalla Stazione (di cui si hanno fino a questo momento notizie).

Tutto ciò per ricordare quelli che non tornarono da Auschwitz ma, soprattutto, per non DIMENTICARE perchè, come scrisse Primo Levi, ”Spaventa il pensiero di quanto potrà accadere fra una ventina d’anni quando tutti i testimoni saranno spariti. Allora i falsari avranno via libera, potranno affermare o negare qualsiasi cosa.”

E poichè, peggio della violenza, forse, vi è l’indifferenza, è giusto ricordare, senza però trasformare il “Giorno della Memoria”, in una giornata per accendere i riflettori, pulirsi un po’ la coscienza e ritornare, di nuovo, nell’oblio dell’indifferenza.

IX Ai cieli (23-26 novembre 1943)

“1/E così avvenne… e questo fu l’inizio… Cieli, ditemi perché, perché!

Perché dobbiamo essere tanto umiliati in questo mondo?

La terra, sorda e muta, ha chiuso gli occhi.. Ma voi cieli,

voi dall’alto avete visto tutto e non siete crollati dalla vergogna!

2/Non una nuvola ha coperto il vostro vile azzurro,

che come sempre mostrava il suo falso splendore;

il sole, rosso come un carnefice feroce, ha continuato il suo corso;

la luna, come una vecchia puttana, come una peccatrice, è uscita di notte a

passeggiare, e le stelle ammiccavano luride come topi.

3/Basta! Non voglio più guardarvi, non voglio più vedervi…

O cieli falsi e bari, cieli infimi pur così in alto; o mio dolore!

Un tempo ho creduto in voi, vi ho confidato le mie pene e le mie gioie, le mie

lacrime e i miei sorrisi  voi non siete migliori della terra, di questo mucchio di letame!

4/Vi lodavo, cieli, vi esaltavo in tutti i miei canti.

Vi ho amato come si ama una donna. Ma ora se ne è andata, dissolta come schiuma.

Fin dall’infanzia il vostro sole, fiammeggiante nel tramonto,

l’ho somigliato alle mie attese: “Così svanisce la mia speranza, così sfuma il

mio sogno!”.

5/Basta! Basta! Vi siete presi gioco di noi, del mio popolo e della mia stirpe!

Da sempre ci avete preso in giro – anche i nostri padri, anche i nostri profeti!

Verso di voi hanno alzato gli occhi, nella vostra fiamma si sono accesi;

sempre fedeli, per nostalgia di voi si sono consumati.

6/Vi hanno convocato per primi: haazinu! Ascoltate!

E solo dopo imploravano la terra. Così Mosè, e così Isaia, il mio Isaia: shimu,

udite!

E shomu! gridava Geremia: shomu! A chi, se non a voi? Perché vi siete

allontanati?

O vasti cieli, luminosi cieli, alti cieli,ormai siete come la terra.

7/Non ci conoscete, non ci riconoscete più – perché? Siamo tanto

cambiati? Eppure siamo gli stessi di un tempo  e anche migliori… non io!

Io non voglio paragonarmi ai miei profeti, non posso,

ma tutti quegli ebrei portati a morte, quei milioni massacrati, loro sì.

8/Sono migliori, più provati, più purificati dal goles! Chi è

un grande ebreo del passato in confronto a un piccolo ebreo di oggi, un semplice

ebreo di Polonia, di Lituania, di Volinia? In ogni ebreo

grida un Geremia, un Giobbe disperato, un re deluso con il suo Qohelet.

9/Non ci conoscete, non ci riconoscete più nessuno di noi, come se ci fossimo

mascherati.

Eppure siamo noi, gli ebrei di sempre, e come sempre pecchiamo contro noi

stessi, come sempre rinunciamo alla felicità e vogliamo salvare il mondo.

Come fate a rimanere così belli, voi cieli azzurri, mentre ci stanno  massacrando?

10/Come Saul, il mio re, andrò nella mia pena dalla evocatrice di spiriti,

troverò la strada disperata e oscura per En Dor,

e chiamerò fuori dalle tombe tutti i miei profeti: alzate lo sguardo

verso i vostri cieli chiari e sputate loro in faccia: “Al diavolo maledetti!”.

11/Siete rimasti a guardare quando hanno portato a morire i figli del mio

popolo, per mare, sui treni, a piedi, al chiaro del giorno e al buio della notte.

Milioni di bambini hanno teso le mani verso di voi prima di venire massacrati,

milioni di nobili madri, di padri – nulla ha fatto tremare il vostro impassibile

azzurro.

12/Avete visto i piccoli Yòmele, unica gioia! Solo gioia e bontà|

E i Benzìon, quei piccoli geonìm così seri e studiosi… consolazione di tutto

il creato!

Avete visto le Hanne, che li hanno partoriti e consacrati a Dio nella Sua casa,

e siete rimasti a guardare… No, non c’è Dio in voi, cieli! Cieli nulli e vuoti!

13/Non c’è Dio in voi! Aprite le porte, cieli, spalancatele,

e lasciate entrare i figli del mio popolo massacrato, del mio popolo torturato.

Aprite le porte per la grande ascensione: un intero popolo crocefisso

sta per arrivare.. ognuno dei miei figli massacrati può essere un Dio!

14/O cieli, vuoti e abbandonati, cieli senza vita come un vasto deserto,

io ho perso in voi il mio unico Dio, e a loro tre non bastano –

il Dio degli ebrei, il Suo Spirito e l’ebreo di Galilea che hanno ucciso, non

bastano: Hanno voluto spedire tutti noi in cielo o miserabile e malvagia idolatria!

15/Rallegratevi, cieli, rallegratevi! Eravate poveri, ma ora siete ricchi:

che raccolto benedetto, che fortuna vi è concessa: un popolo, tutto un popolo!

Rallegratevi, cieli, lassù con i tedeschi, e i tedeschi si rallegrino quaggiù

con voi, e un fuoco salga dalla terra fino a voi,

e un fuoco scenda da voi fin sulla  terra.
(Yitzhak Katzenelson, Il canto del popolo ebraico massacrato [3])

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Per Ferruccio de Bortoli, Presidente della Fondazione Memoriale della Shoah “La memoria è un dovere morale, un impegno civile. Se rituale è inutile. Se strumentale, persino pericolosa. Se scolora nella banalità allontana la percezione del dolore, l’immensità del sacrificio, la forza dirompente di quei corpi senza carne, di quei volti muti e sofferenti, eppure così dignitosi. La memoria autentica scongiura la formazione di un vuoto alle nostre spalle. Attenua quella comprensibile tendenza alla rimozione del passato che toglie gradatamente senso agli avvenimenti, spingendoli nel pozzo della storia fino a confonderli con tanti altri. Il ricordo è un esercizio salutare: apre la mente e i cuori, ci fa guardare all’attualità con meno pregiudizi e minori ambiguità. Il ricordo è protezione dalle suggestioni ideologiche, dalle ondate di odio e sospetti. La memoria è il vaccino culturale che ci rende immuni dai batteri dell’antisemitismo e del razzismo. Purtroppo ancora diffusi in un mondo nel quale c’è ancora chi nega il diritto ad esistere di Israele e persino lo stesso Olocausto. Chi ha conoscenza critica della storia trova più facilmente il buon senso e la saggezza della quotidianità; non fatica a comprendere o ad accettare chi ha etnia o religione diversa dalla sua. Chi ha buona memoria è un cittadino migliore. Un educatore più attento”.

Come sottolinea la Fondazione per il Memoriale, il binario 21 comprende una vasta area interna alla stazione Centrale di Milano, con accesso a livello stradale su via Ferrante Aporti. In particolare, questa è collocata al di sotto del piazzale dei binari, l’area adibita al carico della posta e che, fra il 1943 e il 1945, servì alla deportazione degli ebrei d’Italia.

Secondo le ricostruzioni dei testimoni, in quest’area venivano formati i convogli RSHA attraverso un ingegnoso sistema: uno per volta ogni carro bestiame veniva stipato con circa un centinaio di persone (in origine i carri trasportavano 8 cavalli), piombato e quindi posizionato su un carrello traslatore, che si muoveva lungo un’enorme galleria. Poi, si procedeva a bloccarlo in corrispondenza di un ascensore montavagoni e sollevato dal ventre della stazione fino a raggiungere un binario di manovra all’aria aperta, situato fra i binari 18 e19. Una volta assemblato il convoglio, il treno della morte partiva, destinazione: l’inferno di Auschwitz-Birkenau.

Molti ebrei milanesi non tornarono più da Auschwitz. Partiti, in più di 600, dal binario 21, una mattina fredda e nebbiosa del 30 gennaio del 1944, in una Milano tranquilla e ancora addormentata. In dicembre dallo stesso binario ne erano partiti altri 250 e molti da lì furono deportati e uccisi fino al maggio del 1944.

Di seguito, la lista dei convogli di deportati ebrei partiti da Milano con destinazione Auschwitz-Birkenau e Ravensbrück-Flossenburg:

  • 6 dicembre 1943 MILANO-AUSCHWITZ
  • 30 gennaio 1944 MILANO-AUSCHWITZ
  • 11 febbraio 1944 MILANO-FOSSOLI
    (da lì per Auschwitz il 22 febbraio)
  • 30 marzo 1944 MILANO-FOSSOLI
    (da lì per Auschwitz il 5 aprile)
  • 19 aprile 1944 MILANO-BeRGEN-BELSEN
  • 27 aprile 1944 MILANO-FOSSOLI
    (da lì per Auschwitz il 16 maggio)
  • 14 maggio1944 MILANO-FOSSOLI
    (da lì per Auschwitz il 16 maggio)
  • 9 giugno 1944 MILANO-FOSSOLI
    (da lì per Auschwitz il 26 giugno)
  • 2 agosto 1944 MILANO-VERONA
    (da lì per Auschwitz il 2 agosto)
  • 17 agosto 1944MILANO-BOLzANO
    (da lì per Auschwitz il 24 ottobre)
  • 7 settembre 1944 MILANO-BOLzANO
    (da lì per Auschwitz il 24 ottobre)
  • 17 ottobre 1944 MILANO-BOLZANO
    (da lì per Auschwitz il 24 ottobre)
  • Giorno e mese ignoti del 1944 MILANO-BOLZANO
    (da lì per Ravensbrück e Flossenburg il 14 dicembre)
  • 15 dicembre 1944 MILANO-BOLZANO
  • 15 gennaio 1945MILANO-BOLZANO

(La lista dei trasporti è tratta da L. Picciotto Fargion, Gli ebrei in provincia di Milano: 1943/1945. Persecuzione e deportazione, Fondazione Centro di documentazione ebraica Contemporanea, 2004)

 

(Fonti: Corriere della Sera; [1]- Furio Colombo (il Fatto, 27.01.2010); [2]- “Sopravvissuta ad Auschwitz.Liliana Segre, fra le ultime testimoni della Shoah”, Emanuela Zuccalà, Paoline Editoriale Libri, Gennaio 2005, pp. 144; [3]- “Il canto del popolo ebraico massacrato”, Y. Katzenelson Giuntina, Firenze, 1995. Katzenelson, intellettuale socialista polacco, elaborò questo “urlo di dolore” durante la Resistenza nel ghetto di Varsavia, dove perse moglie e figli. Urlo espresso in parole, scritte da Katzenelson nel campo di concentramento di Vittel, in Francia. Quando fu poi arrestato, si dice, che prima di morire ad Auschwitz, seppellì il suo poema nei pressi di un albero.

Per le immagini del Galleria: http://faremilano.wordpress.com/; ecodibergamo.it; provincia.milano.it, paginecorsare.myblog.it; ferrovie.it; www.untrenoperauschwitz.it.)

Rosy Merola

(Video Youtube:Canto del popolo ebraico massacrato )

Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.