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Pillole di Storia della Repubblica italiana: Carlo Azeglio Ciampi, la scelta bipartisan del Parlamento

ciampi

«Signor Presidente, Onorevoli parlamentari, Signori delegati regionali. Di questa pienezza di unità nazionale voi vi siete resi interpreti con la votazione che mi ha eletto. E io mi adopererò per far perdurare questa significativa convergenza costituzionale da voi creata. Una convergenza costituzionale che, nella sua specificità, non nega, anzi presuppone il normale, vitale, netto confronto tra maggioranza e opposizione. L’unità nazionale che dovrò rappresentare e perseguire impone che si volga lo sguardo verso quello che sarà il destino degli italiani nel secolo che sta per cominciare». Con queste parole, espresse nel suo discorso d’insediamento – il 18 maggio 1999Carlo Azeglio Ciampi (Livorno, 9 dicembre 1920 – Roma, 16 settembre 2016) dà inizio al suo mandato presidenziale.

Un richiamo all’unità nazionale che – in questo particolare momento storico – acquista un’accezione particolare. Infatti, proprio la sopraindicata «convergenza costituzionale», ovverosia il modo con cui si è arrivati alla nomina del Presidente Emerito Ciampi – eletto al primo scrutinio il 13 maggio 1999 con 707 voti su 1010 –  è stata vista come un esempio da seguire, nelle elezioni presidenziali che si sono susseguite nel tempo.

Infatti, come puntualizza Massimo Giannini (nel suo libro “Ciampi” e nell’articolo “Il grande Impolitico”, pubblicato su Repubblica): «L’elezione di Ciampi è il sintomo più tangibile della crisi politica e istituzionale degli anni Novanta. Una crisi di status dei partiti, che taglia trasversalmente la destra e la sinistra, e che li costringe a richiamare sul Colle più alto il miglior rappresentante di quella generazione di tecnici che, già nel 1993, salva il Paese travolto dalla slavina di Tangentopoli. L’elezione di Ciampi, allo stesso tempo, si rivela anche il migliore strumento a disposizione della politica, per riabilitare se stessa. L’equilibrio neutrale e la ricerca costante di ciò che unisce, piuttosto che ciò che divide».

Inevitabile trovare delle analogie con le vicende politiche a cui si sta assistendo negl’ultimi tempi. Infatti, riuscire ad eleggere il prossimo presidente della Repubblica con il metodo delle «larghe intese», che coinvolga tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, è quanto si auspicano in molti. «È fondamentale che si riprenda il filo del dialogo tra i diversi schieramenti. In Parlamento siedono nuove forze politiche, occorre dare loro il tempo di maturare. Se la scelta del nuovo presidente della Repubblica avverrà con il metodo della più ampia condivisione, si potrà anche sbloccare la partita sulla formazione del governo. È fondamentale ripristinare in fretta un principio, quello della moralità delle istituzioni e degli individui», ha dichiarato in questi giorni lo stesso Ciampi, con quel suo modo di fare, spesso interpretato come un segnale di debolezza caratteriale, che tende a sfociare nella neutralità. Atteggiamento, quest’ultimo, giudicato da alcuni troppo «democristiano», ma che non gli ha impedito d’essere annoverato – com’è accaduto con l’indimenticabile Sandro Pertini – tra i Presidenti con il più alto indice di gradimento (con una media tra il 70 e l’80%).

La sua storia: pagine di storia italiana

Nato a Livorno il 9 dicembre 1920, banchiere centrale e uomo politico, Ciampi è stato il secondo Presidente – preceduto da Luigi Einaudi – ad essere stato eletto dopo aver ricoperto l’incarico di governatore della Banca d’Italia. Conseguita la laurea in Lettere e il diploma della Scuola Normale di Pisa nel 1941, viene chiamato alle armi come sottotenente dell’Esercito in Albania. Nonostante ciò, l’8 settembre 1943 rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò, rifugiandosi a Scanno (Abruzzo), dove si trovava confinato il filosofo antifascista Guido Calogero, suo maestro e padre culturale del socialismo liberale alla Normale. Nel 1946, si laurea anche in Giurisprudenza presso l’Università di Pisa, decidendo – lo stesso anno – di affrontare un concorso per entrare nella Banca d’Italia. «Andare avanti da professore precario in un liceo era dura e i concorsi per la scuola non arrivavano. E così, pragmaticamente, il giovane docente abbandonò le Lettere (che lo affascineranno sempre e che lo vedranno di tanto in tanto impegnato come presidente della giuria del Campiello e come vicepresidente della Treccani) e sposò i Numeri» (Massimo Gaggi, firma del Corriere della Sera).

Assunto in Banca d’Italia, inizialmente prestando servizio presso alcune filiali con funzioni amministrative e di ispezione ad aziende di credito, la sua carriera si evolve in sordina fino al 20 settembre 1979, quando – essendosi dimesso Paolo Baffi, a seguito del terremoto scatenato in Bankitalia a causa dello scandalo del Banco Ambrosiano (relativo al caso Calvi[1] – collegato alla P2 – e alla liquidazione coatta del Banco Ambrosiano il 6 agosto 1982 che, con le dovute differenze, tornando alla cronaca dei nostri giorni fa pensare allo scandalo Mps) – viene nominato governatore. Uno degli anni più bui della storia italiana: rosso come il sangue delle troppe vittime delle stragi a cui si assiste in quei mesi – tra cui quello delgiornalista e direttore di OP (Osservatorio Politico), Carmine Pecorelli (detto Mino), rosso come l’inflazione a due cifre (20/22%) – conseguenza anche del secondo shock petrolifero – che sfociò poi in stagflazione.

In questo quadro così delicato e complesso, il neo eletto governatore della Banca d’Italia comincia il suo lavoro, maturando una delle decisioni storiche nell’ambito della politica monetaria: il divorzio tra il Ministero del Tesoro e la Banca d’Italia. «All’assemblea della Banca d’Italia del maggio 1981, interpretando l’anima dell’Istituto che mi era stato da poco affidato, indicai tre condizioni per restituire al Paese stabilità monetaria: una politica dei redditi volta alla disinflazione; una banca centrale completamente indipendente; il pieno controllo del bilancio pubblico e della conseguente creazione monetaria», spiega il Presidente Emerito [2].

Ciampi, la “moneta” e l’Europa

La “moneta” era destinata ad avere un ruolo importante nella vita di Ciampi. Il 19 luglio 1985 – passato alla storia come il «venerdì nero» della lira – in pochi istanti si scatenò il caos. La divisa Usa che – alle 13,15 oscillava attorno alle 1.870 lire – di colpo impennò, arrivando fino a 2.200 lire. Questo costrinse l’allora ministro del Tesoro, Giovanni Goria, a chiudere temporaneamente il mercato dei cambi. A dare il colpo di grazia alla valuta italiana – dopo che da giorni circolavano voci su di un riallineamento all’interno del Sistema monetario europeo (SME), con la svalutazione della lira – fu l’arrivo sul mercato di un ordine d’acquisto, per 125 milioni di dollari, da parte del San Paolo per conto dell’Eni, che aveva necessità di estinguere un debito in valuta. Nonostante il monito della Banca d’ Italia, la quale – data la debolezza della lira – aveva fatto sapere ai committenti di ritenere inopportuna quell’operazione, San Paolo e Eni andarono avanti. Così, la lira precipitò, riprendendosi solo il lunedì seguente, quando il dollaro tornò a quota 1.900. Ma ormai era troppo tardi: il comitato monetario della CEE aveva deciso di svalutare la lira dell’8%.

Il modo di procedere di Ciampi diede vita ad una serie di polemiche. L’allora Primo ministro, Bettino Craxi aprì un’inchiesta del governo. Per questo, Goria e il governatore di Bankitalia rassegnarono le loro dimissioni, che vennero respinte. Archiviato il caso politico, rimasero le inchieste giudiziarie, in particolare fra Eni e San Paolo. Con l’ ultima sentenza del 26 febbraio ‘ 98, la Cassazione, impose alle banche di risarcire i danni procurati ai clienti acquistando su loro mandato valuta in giorni di «turbolenza dei cambi».

Tuttavia, l’altra grande crisi valutaria era all’orizzonte: «Dalla seconda metà del 1992 la situazione era precipitata e a inizio luglio il tasso di sconto veniva portato dalla Banca d’Italia al 13%, e successivamente al 13,75%. Dopo un Ferragosto tutto sommato abbastanza tranquillo, il 24 di quello stesso mese però la lira scese a ridosso del tetto massimo previsto dallo Sme nei confronti del marco (765,4 lire). Nei giorni successivi il tasso di sconto venne portato addirittura al 15%, ma neanche questo bastò a fermare la speculazione sul cambio», racconta l’allora ministro del Tesoro Piero Barucci.

Così, il 13 settembre la lira fu svalutata del 7%. Il 16 la sterlina uscì dal Sistema monetario europeo, mentre in Italia il 17 fu data notizia della chiusura del mercato dei cambi per tre giorni lavorativi e – con la lira ormai allo stremo – all’alba del 18 settembre 1992, si sventolò bandiera bianca, abbandonando il Sistema monetario europeo. Lo stesso giorno, il governo Amato varò una manovra record da 90 mila miliardi, al fine di frenare la drammatica crescita del debito pubblico. In sintesi, la manovra “lacrime e sangue” prevedeva: l’aumento dell’età pensionabile e dell’anzianità contributiva, il blocco dei pensionamenti, patrimoniale sulle imprese, minimum tax, il prelievo straordinario sui conti correnti bancari, l’introduzione dei ticket sanitari, la tassa sul medico di famiglia, Ici, l’avvio delle privatizzazioni, il blocco di stipendi e assunzioni nel pubblico impiego.

Questi furono gli ultimi anni di vita della lira che – ormai sul viale del tramonto – il 1° gennaio del 2002, dovette cedere il posto all’euro. In questo passaggio di consegne dalla lira alla moneta unica, Ciampi ebbe un ruolo da protagonista, cosa che gli spalancò le porte del Quirinale: «La creazione della moneta unica europea, grande evento politico e non solo economico, ci impone di far sì che l’economia italiana risponda sempre più alle caratteristiche del modello di sviluppo europeo che insieme con gli altri paesi dell’Unione stiamo disegnando», dichiarò il Presidente Emerito nel corso della cerimonia d’insediamento, che – da «convinto assertore e sostenitore» dell’Europa unita, si prodigò affinché si arrivasse ad una nuova Carta costituzionale europea.

«L’atto che avete oggi sottoscritto ci allontana definitivamente dall’abisso di tragiche guerre intestine della prima metà del ventesimo secolo. Quello sottoscritto oggi è l’atto di nascita di una unione politica, non solo economica e sociale. E’ un evento unico nella storia del nostro continente, una svolta nella storia dell’umanità». Così, un Ciampi commosso commentò la firma del trattato sulla nuova Costituzione europea – il 29 ottobre 2004, nella sala degli Orazi e Curiazi in Campidoglio, dove nacque nel ’57 la prima Europa a 6 (Cee) – nel brindisi d’apertura del pranzo con i capi di governo dell’Unione.

Dal 1993 al 1999: da governatore della Banca d’Italia a decimo Presidente della Repubblica

Nella drammatica crisi del 1993 – scatenata dal terremoto “Tangentopoli” – in virtù della sua figura di tecnico estraneo ai partiti, Ciampi fu chiamato a prendere le redini del governo, in quello che fu il passaggio dalla prima alla cosiddetta seconda Repubblica. Lasciata la carica di governatore della Banca d’Italia, al suo posto arrivò il cattolico Antonio Fazio (scelta che – avendo già bloccato in passato l’altro cattolico, Lamberto Dini – costò a Ciampi l’accusa da parte di Famiglia Cristiana prima – nel febbraio 1993 – e dallo stesso Lamberto Dini poi – nel dicembre 1995, dalle colonne del Corriere della Sera – di essere massone. Voci che spesso sono tornate in auge e sempre smentite da Ciampi).

Tra l’azioni compiute da Ciampi come Primo ministro – dall’aprile 1993 al maggio 1994 – va evidenziato il successo conseguito il 23 luglio 1993 con il protocollo d’intesa governo-Confindustria-sindacati, meglio nota come “concertazione”, attraverso il quale si pose fine ad ogni meccanismo di indicizzazione e si individuò nel tasso di inflazione programmata il parametro di riferimento per i rinnovi contrattuali.

Un accordo particolarmente sentito dal Presidente Emerito che ritenne opportuno accennare nel più volte citato discorso d’insediamento: «I lavoratori italiani, gli imprenditori, le loro organizzazioni sindacali hanno dato un apporto determinante al superamento della grave crisi economica, sociale, politica esplosa agli inizi degli anni novanta. Ho viva la memoria di quel giorno del luglio 1993, quando con l’accordo tra il Governo e le parti sociali fu posta la pietra angolare sulla quale il paese ha retto negli anni difficili della transizione e ha ricostruito la propria stabilità economica. Ma accanto e prima dei lavoratori occupati, ci sono quelli disoccupati. E oggi dobbiamo rinnovare l’impegno perché tutte le nostre politiche assumano come riferimento assoluto la lotta alla disoccupazione».

Dopo l’esperienza come Capo del governo – nel corso della XIII legislatura – Ciampi ha ricoperto il ruolo di Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, nel governo Prodi (dall’aprile 1996 all’ottobre 1998) e nel governo D’Alema (dall’ottobre 1998 al maggio 1999). Come Presidente della Repubblica (dal 13 maggio 1999), nel corso dei cinque anni di governo Berlusconi – tra le altre cose – rifiutò di firmare la legge Gasparri sulla tv, respinse la riforma della Giustizia da lui valutata in alcuni punti «palesemente incostituzionale». Inoltre, decise di rinviare la legge Pecorella che impediva alla pubblica accusa di ricorrere in caso di assoluzione. Il 3 maggio 2006, con una nota ufficiale del Quirinale, Ciampi confermò la sua indisponibilità ad un settennato-bis, adducendo tra i motivi che l’hanno spinto a questa decisione , l’età avanzata e la convinzione che «il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato».

Ciampi oggi: tra stallo politico e crisi economica

In una recente intervista, interrogato sulla attuale situazione, Ciampi ha replicato: «Occorre uscire subito dallo stallo, perché la crisi è gravissima. Non sembra che si abbia l’esatta percezione che le priorità assolute, sulle quali dovrebbero convergere tutte le forze politiche, quale che sia il prossimo governo, sono crescita e occupazione. E occorre agire per rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla crescita, primo tra tutti l’eccesso di oneri burocratici. Se l’economia riprende a crescere, si riduce automaticamente anche il debito pubblico, fermo restando che l’Italia dovrà comunque proseguire sulla linea delladisciplina di bilancio, realizzando prima di tutto un consistente avanzo primario, come indicato negli ultimi documenti presentati dal governo».

Il presidente Emerito, ha concluso rivolgendo agli italiani un messaggio di speranza, ricordando l’esperienze passate: «Il nostro Paese ha le energie per emergere dalla crisi. L’insicurezza genera la paura. Ma abbiamo affrontato prove non meno ardue. Calamandrei era membro della prima sottocommissione alla Costituente presieduta dal democristiano Umberto Tupini, la stessa in cui erano presenti Dossetti, Togliatti e De Gasperi. Le varie forze politiche che avevano operato insieme per restituire l’Italia alla democrazia conservarono lo spirito di collaborazione necessario per portare a compimento il mandato che il Paese aveva loro affidato. Le sembra utopistico tornare a quello spirito costituente?».

La risposta a quest’ultimo interrogativo posto da Ciampi – si spera – giunga anche da chi le forze politiche arriverano ad eleggere come successore di Giorgio Napolitano.

Ciampi e il richiamo alla Costituzione

Infine, nell’intento di associare un articolo della nostra Costituzione a Ciampi – così come anticipato all’inizio del suddetto articolo – diversi sono i dispositivi che si prestano a tale scopo (come ad esempio – in riferimento al suo essere europeista convinto – il comma 1 dell’art. 10 C., oppure – per il suo ruolo centrale in ambito economico – l’art. 41 C.). Tuttavia, visto che «ci sono princìpi della gloriosa Costituzione di cinquant’anni fa che non abbiamo ancora pienamente attuato», come in passato ha sottolineato Ciampi – in questo delicato frangente in cui si trova il nostro Paese, dove sarebbe auspicabile una rivoluzione di pensiero, un nuovo Risorgimento – si preferisce concludere questa breve disanima con un intervento del Presidente, che offre una chiave di lettura interessante dell’articolo 9 della Costituzione:

«Forse l’articolo più originale della nostra Costituzione repubblicana è proprio quell’articolo 9 che, infatti, trova poche analogie nelle costituzioni di tutto il mondo: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. La Costituzione ha espresso come principio giuridico quello che è scolpito nella coscienza di ogni italiano. La stessa connessione tra i due commi dell’articolo 9 è un tratto peculiare: sviluppo, ricerca, cultura, patrimonio formano un tutto inscindibile. Anche la tutela, dunque, deve essere concepita non in senso di passiva protezione, ma in senso attivo, e cioè in funzione della cultura dei cittadini, deve rendere questo patrimonio fruibile da tutti. Se ci riflettiamo più a fondo, la presenza dell’articolo 9 tra i “principi fondamentali” della nostra comunità offre una indicazione importante sulla “missione”della nostra Patria, su un modo di pensare e di vivere al quale vogliamo, dobbiamo essere fedeli. La cultura e il patrimonio artistico devono essere gestiti bene perché siano effettivamente a disposizione di tutti, oggi e domani per tutte le generazioni. La doverosa economicità della gestione dei beni culturali, la sua efficienza, non sono l’obiettivo della promozione della cultura, ma un mezzo utile per la loro conservazione e diffusione. Lo ha detto chiaramente la Corte Costituzionale in una sentenza del 1986, quando ha indicato la“primarietà del valore estetico-culturale che non può essere subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici”e anzi indica che la stessa economia si deve ispirare alla cultura, come sigillo della sua italianità»[3].

La rinascita del nostro Paese dovrebbe passare dallo sviluppo della cultura, del patrimonio artistico e dalla ricerca scientifica e tecnica. Una rivoluzione d’azione e di pensiero, appunto.

Rosy Merola

Fonti:

Fotogramma: Roma, 18-5-1999 Cerimonia di insediamento del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, dal sito ufficiale del Quirinale

Video: “Ciampi al Quirinale – Tg della Storia 1995 – 1999”, lastoriasiamonoi.rai.it Per la biografia ufficiale, fonte tratta dal sito ufficiale del Quirinale: http://www.quirinale.it/qrnw/statico/ex-presidenti/Ciampi/cia-biografia.htm

[1] Per un approfondimento, video Youtube di AzionePrometeo: Il Banco Ambrosiano e il caso Calvi – Blu Notte

[2] Sintetizza Ciampi, «Il ritorno a un moneta stabile richiede un vero cambiamento di costituzione monetaria, che coinvolge la funzione della banca centrale, le procedure per le decisioni di spesa pubblica e quelle per la distribuzione del reddito. Prima condizione è che il potere della creazione della moneta si eserciti in completa autonomia dai centri in cui si decide la spesa. Oggi quella condizione deve essere soddisfatta soprattutto nei confronti del settore pubblico, liberando la banca centrale da una condizione che permette ai disavanzi di cassa di sollecitare una larghezza di creazione di liquidità non coerente con gli obiettivi di crescita della moneta. Ciò impone il riesame dei modi attraverso i quali, nel nostro ordinamento, l’istituto di emissione finanzia il Tesoro: lo scoperto del conto corrente di tesoreria, la pratica dell’acquisto residuale dei buoni ordinari alle aste, la sottoscrizione di altri titoli emessi dallo Stato. In particolare è urgente che cessi l’assunzione da parte della Banca d’Italia dei BOT non aggiudicati alle aste. Seconda condizione sono regole di procedura che collochino le grandi decisioni di spesa nella prospettiva dell’equilibrio monetario… Alle decisioni di spesa pubblica bisogna dare regole che costringano al rispetto sostanziale dell’obbligo di copertura. Occorre ricercare e definire solennemente forme, quali ad esempio l’obbligo del pareggio fra le entrate e le uscite correnti, con le quali dare concreta attuazione al principio enunciato nella Costituzione. Terza condizione: occorre ricercare e definire forme istituzionali attraverso le quali la negoziazione collettiva ritorni ad essere strumento di governo della dinamica dei redditi e della condizione del lavoro anziché di distruzione della moneta. Autonomia della banca centrale, rafforzamento delle procedure di bilancio, codice della contrattazione collettiva sono presupposti del ritorno a una moneta stabile».

[3] Discorso tenuto in occasione della consegna delle Medaglie d’Oro ai Benemeriti della Cultura e dell’Arte al Quirinale, il 5 maggio 2003).

Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.