Pillole d’Integrazione Europea: Brexit, ovvero “L’euroscettica Inghilterra”
“La gloria della politica estera era identificata con l’Impero e il Commonwealth, i suoi problemi e pericoli con il continente europeo. […] In Gran Bretagna, la riluttanza ad entrare in Europa è sempre stata bibartisan e – in un certo senso – mistica. Anthony Eden (Primo ministro del Regno Unito dal 7 aprile 1955, al 10 gennaio 1957) una volta disse che la Gran Bretagna sapeva ‘nelle ossa’ che non poteva unirsi all’Europa”[1]. “Per il Generale de Gaulle, l’Inghilterra – considerata il “cavallo di Troia” degli americani e dell’Atlantismo – non voleva entrare in una cooperazione reale (con l’Europa), ma – piuttosto – fare da arbitro, fondamentalmente senza farsi coinvolgere. Questo era alquanto naturale, visto che la Gran Bretagna era e rimaneva un’isola”[2].
Fin dall’origine del processo d’integrazione europea, quindi, Londra si è sempre mostrata euroscettica. Questo perché, la Gran Bretagna – utilizzando un concetto espresso da Winston Churchill durante il discorso tenuto alla Conferenza economica del movimento europeo (svoltosi a Londra il 20 aprile 1949), in cui aveva sintetizzato il ruolo geopolitico del suo Paese, avvalendosi della figura di tre cerchi: «il cerchio dell’Impero britannico e del Commonwealth, quello dei popoli di lingua inglese e dell’Europa unita» – ha da sempre identificato i propri successi di politica estera con l’Impero e il Commonwealth, associando i problemi e pericoli con il continente europeo. Alla luce di ciò, non dovrebbe stupire, quindi, il desiderio britannico di lasciare l’Unione europea.
Per la serie: “Corsi e ricorsi storici”.
Rosy Merola
[1] – H. Kissinger, “Reflections on partnership: British and American attitudes to post-war foreign policy”, in International Affairs,1982, p.578
[2] – Winand, Pascaline, Eisenhower, Kennedy, and the United States of Europe, New York, S. Martin’s Press, 1993, pp. 245-250.