Liber(in)MentisRecensioni

Almost blue, partitura n. 1: Overture in chiave wagneriana della ’round midnight edizioni

almost

PARTITURA: Rappresentazione grafica di una composizione vocale o strumentale a più parti simultanee, tracciata su una serie di righi musicali sovrapposti. “La nostra Partitura vuole essere un connubio di diverse voci, di uomini e di donne che cercano di esprimere quello che hanno dentro nell’unico modo che hanno a disposizione: creando”. Così, proseguendo con l’analogia dal gusto musicale, il direttore d’orchestra Domenico Cosentino, spiega l’essenza della ‘round midnight edizioni, introducendo gli strumenti-Artisti che la compongono e dal cui connubio, appunto, prende vita la Jam session “partituran.1 Almost_blue”, che raggruppa: Angela Zenato, i racconti di Gian Ruggiero Manzoni, Raffaello Ferrante e Francesco Aliperti Bigliardo; le poesie di Dani Male e Poeta Menarca e le opere di Mauro Modin, Ian Gamache e Marco Moscato.

 In questo modo, fin dalle prime battute, si percepisce la contaminazione interdisciplinare insita in partitura n. 1, che diventa sempre più tangibile nel prosieguo della lettura e che – a sua volta – porta ad individuare nel modus operandi della ‘round midnight, una certa assonanza nella visione wagneriana, secondo cui l‘unione simultanea di diversi linguaggi artistici (Gesamtkunstwerk) – grazie alla sinergia che si viene a sviluppare tra le singole componenti – rappresenta la forma più efficace di comunicazione.

Così, nel tentativo di creare una sinestesia tra suoni, versi e colori che riesca a cogliere l’essenza di partitura n. 1, facendo riferimento ad un sonetto di Rimbaud – che mi permette di creare una connessione tra parole e colori“Inventai il colore delle vocali! – A nero, E bianco, I rosso O blu, U verde. Regolavo la forma e il movimento di ogni consonante e con ritmi istintivi, mi lusingai d’inventare un verbo poetico accessibile, un giorno o l’altro a tutti i sensi”, sfiorando Baudelaire, al fine di stabilire un collegamento tra colore delle parole (parafrasando il grande Edoardo De Filippo) e suoni, “Mi sembrerebbe davvero strano che il suono non potesse suggerire il colore, che i colori non possano donare l’idea d’una melodia e che il suono o il colore possano sembrare inadatti a tradurre le idee”, arrivo – in questo peculiare viaggio sensoriale – ad un altro artista (questa volta un pittore), W. Kandinsky. Ciò mi consente, attraverso la visione kandinskiana (condizionata dall’esperienza del Prometeo di Skrjabin) – secondo cui è possibile stabilire una connessione tra i colori e il timbro di alcuni strumenti musicali di provare a dare un suono alle penne riunite in partitura n. 1.

Alla luce di ciò, partendo dal titolo “Almost blue”, lo strumento associato alla tonalità di blu (secondo le indicazioni del sopraindicato pittore), che fa da supporto all’intera partitura e su cui si intrecciano le diverse anime della ‘round midnight edizioni, è il contrabbasso (probabilmente usato pizzicando le sue corde come si suole fare nelle esecuzioni jazz), dal suono basso, profondo, freddo e scuro.

Da qui, il primo “assolo”, ancora dal “suono” blu , è quello di Angela Zenato con, “Coltrane, Modin e la spiritualità nel Jazz”. In esso, l’autrice dà la sua personale interpretazione del ritratto Trane di Modin, che ha come soggetto Coltrane, uno dei più grandi jazzisti della storia della musica. “Un’immagine mentale, che ci appare nella sua intima spiritualità, perché questo è il Grande Jazz, perché come tutti i Grandi Geni, ha fatto della sua vocazione la linfa vitale per eccellenza”, scrive Angela Zanato, che conclude il suo contributo citando lo stesso Coltrane, “Mi piacerebbe mostrare alla gente il divino, usando un linguaggio musicale che trascenda le parole. Voglio parlare all’anima delle persone”.

Segue poi, “Il tabernacolo della luce” di Gian Ruggero Manzoni, un paradossale racconto ambientato nella Napoli dei primi dell’Ottocento, in cui vengono narrate le vicissitudini di Ferdinando Cacciacamularo, soprannominato “Faccia Rossa”. Ed è proprio il rosso caldo, chiaro – con il suo effetto entusiasmante, che può anche giungere al punto di dolore – evocando il suono forte, ostinato di una fanfara, che ben si associa alle bizzarie del protagonista dalle manie incomprensibili. Una breve e divertente storia, in cui si può scorgere, nel “Tabernacolo della Luce”, una morale.

Il terzo assolo, invece, è “Sud” di Raffaello Ferrante. Fotografia cruda e livida del Meridione, nella sua accezione negativa: maleodorante, sporco, maleducato contraddittorio, rinnegato da chi risiede al nord. Suono triste, smorzato di una tromba che, nel corso di un viaggio in treno (quello dei dannati, il vecchio  Milano-Lecce, espresso del Levante, che conduce il protagonista, da una imprecisata provincia del Centro-Nord, fino a Bari) – “Sotto i primi lievi bagliori rossastri dell’alba” – si tramuta nel suono della pizzica, passione che scorre continua. Perché, nonostante sia “irriverente e volgare come sempre”, per chi ha il Sud che gli pulsa nelle vene – per quanto rinnegato, criticato, denigrato – solo qui si potrà sentire vivo.

Così, restando nel Sud, “Mi è piaciuto essere Napoletano. Verificare che non ci fosse niente di più appetitoso di una pizza e nulla di più desiderabile di una pastiera o degli struffoli. Mi è piaciuto ricordare a tutti, ogni volta che me ne è stata concessa occasione, che io ero Napoletano come Totò, come Caruso, come… Come Eduardo”, siamo al momento di Francesco Aliperti Bigliardo con, “Mi è piaciuto vivere”. Nota riflessiva-spirituale, seppure in chiave leggera, di partitura n. 1. In esso, l’autore ripercorre i pensieri che affollano la mente del protagonista, che vede la sua vita appesa al “bip, bip, bip” di un cardiofrequenzimetro e, nell’attesa, fa un consuntivo, un resoconto finale. Il tempo è scandito dai “Mi è piaciuto…”: innamorarmi, leggere, scrivere, ridere. Fino all’ultimo: Mi è piaciuto vivere! Il racconto si tinge del colore ieratico del tramonto (della vita), ancestrale suono di una viola che intona un Largo.

Tuttavia, basta voltare pagina, che ci si trova catapultati in una “Tangenziale” – prima – e su una “Circonvallazione” – poi – frutto dell’estro di Dani Male. La forma di organizzazione del testo poetico, tradisce il background musicale dell’autore. Versi dal ritmo sincopato che riescono a dare al lettore la percezione di trovarsi nel caotico traffico della tangenziale, “un mare mosso di catrame” o sulla circonvallazione, dove “la strada è vuota davanti, il semaforo è verde ed io ho fermato altre vite”. Versi che fanno scattare un parallelismo – proseguendo con il “fil blue” musicale – con il Maestro Franco Battiato: “Sulle strade al mattino il troppo traffico mi sfianca; mi innervosiscono i semafori e gli stop, e la sera ritorno con malesseri speciali. Non servono tranquillanti o terapie. Ci vuole un’altra vita”. Così, è il verde del semaforo il colore che contraddistingue l’assolo di Dani Male, a cui – nella concezione di Kandinsky- viene associato il suono acuto, penetrante di un violino che, esasperato, può rievocare quello stridulo di un clacson.

Infine, arriviamo agli ultimi due scritti di Poeta Menarca, “Domenica malvagia” e “Lunedì 7 Gennaio”, la cui lettura fa pensare ad una trasposizione contemporanea del “poète maudit”, con contaminazioni suburbane: “L’amore non esiste, l’hanno inventato all’Ipercoop per vendere hamburger e pizza tricolore”. Esternazione di un dolore derivante da un amore non corrisposto, che si tinge di sfumature cupe tendenti al nero, inteso come mancanza di luce. Un “non colore”, o meglio, un non amore, spento come un rogo arso completamente. Pausa finale di un’esecuzione musicale (quella di partitura n.1), che – tuttavia – riesce a far risaltare qualsiasi colore e che proietta la ‘round midnight edizioni verso i futuri lavori.

Così, in questo caleidoscopio di stili, di personalità, ciascun lettore potrà scorgere il suono più affine alle corde della propria anima perché, “Fratelli, la musica ce l’avete nel sangue come tutte le creature. Se un Dio c’è giuro che è un musicista, e che scrive le nostre vite su uno spartito. Ognuno ha la sua melodia, il suo tema e se li porta dentro per anni. Ci sono vite che vanno via tranquille come le canzonette, facile da imparare e da prevedere con le rime amore e cuore e i fiori di Sanremo. Ci sono esistenze sinfoniche, archi e orchestra, personalità importanti che non le puoi invitare a cena se non è di Gala. Ci sono vite fatte di grandi adagi, note lunghe, quasi monotone, quelle che alla fine quando succede qualcosa, si tramutano in una fuga incalzante, con un ritmo quasi frenetico e ti fregano. Ci sono vite jazz che sembrano sottofondi da piano bar con le luci soffuse e invece dentro nascondono un virtuosismo che fa impressione a saperlo riconoscere. Ci sono le vite tecno del terzo millennio, pulsanti come un cuore, eppure cariche di vuoti…colpi bassi allo stomaco, quasi un dolore se li ascolti da vicino. E poi ci sono le orecchie, le mie, le tue, quello che serve e che basta per capire. Mettiti in silenzio e ascolta, può darsi che là fuori o qua dentro stia passando la musica della tua vita, o della mia”.

(Diego Cugia alias Jack Folla)

Rosy Merola

Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.