#Nastrorosa, intervista al Dott. Carmine Matola: «La prevenzione consente a noi oncologi di salvare la vita»
Al fine di sensibilizzare e mantenere informati i nostri lettori sulle nuove frontiere terapeutiche e diagnostiche inerenti il tumore alla mammella – per il mese della prevenzione lanciato dalla “LILT FOR WOMEN- Campagna Nastro Rosa della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori”– riproponiamo un’intervista fatta (e pubblicata in altre sedi) al Responsabile Scientifico progetto P.O.S.T. (Prevenzione Oncologica Senologica Territoriale), il Dott. Carmine Matola.
La prima sessione del Convegno si è soffermata sulla prevenzione senologica e sull’impatto psicologico che può avere un tumore alla mammella su una donna. Poiché “repetita iuvant”, quanto è importante – in generale – la prevenzione?
«La prevenzione è molto importante ed utile perché serve per curare meglio le persone, per salvare la vita. Permette a noi oncologi di fare una diagnosi tempestiva, incidendo anche sull’approccio che il medico ha nei confronti di queste malattie. In altri termini, per quanto riguarda la mammella, se uno fa una diagnosi precoce – in uno stadio iniziale – riesce a salvare la vita. Riesce anche a salvare la mammella, ovvero si riesce ad evitare la mastectomia radicale. Con tutto ciò che questo comporta anche sotto il profilo psicologico. Io sono anni che non ne effettuo più. Grazie alla prevenzione, appunto, riesco a diagnosticare patologie entro i tre centimetri. Ciò mi consente di fare un intervento molto limitato. Oltre a ciò, la prevenzione è importante anche per la prognosi. Una neoplasia diagnosticata in uno stadio iniziale prevede una strategia terapeutica più limitata nel tempo. Quindi, se la malattia viene diagnosticata in uno stadio iniziale, la sopravvivenza a cinque anni è intorno al settanta, pure all’ottanta per cento. Oltre ai tre centimetri – quindi parliamo di stadi più avanzati – è evidente che la diagnosi scende. Di solito, diventano metastatiche entro i diciotto-ventiquattro mesi. La malattia, quando è diventata metastatica, non è più una malattia d’organo, ovvero una malattia localizzata, ma diventa una malattia diffusa. Già il cancro, di per sé, è una malattia sistemica, dove le cellule partono con molta rapidità, “ripetendo” la malattia in altri organi. Per quanto riguarda la mammella, gli altri organi a cui il cancro si può estendere sono: fegato, polmoni, ossa, cervello ed altro. Questa è la differenza sostanziale: la sopravvivenza».
In sintesi, in cosa consistono le nuove frontiere diagnostiche illustrate in questa sede?
«A parte quelle terapeutiche, le nuove frontiere diagnostiche prevedono delle procedure che un tempo non erano possibili, come la FNAB (Fine Needle spiration Biopsy, ovvero la biopsia per aspirazione ad ago sottile, sotto guida Eco); la Core-Biopsy (si tratta di un accertamento di tipo istologico, consistente nel prelievo (micro-biopsia) di uno o più campioni di tessuto, attraverso un ago da biopsia); il Mammotome (agobiopsia totalmente controllata dal computer che permette un prelievo multiplo di tessuto mammario). Tutto ciò consente al medico di fare degli esami citologici o micro-istologici, che gli permettono di avvalorare o meno una diagnosi che – con la sola ecografia, mammografia o con altre diagnostiche – non era stata definita bene».
Sempre in tema di prevenzione il Sistema Sanitario Nazionale da anni ha posto in essere un programma di screening gratuito per la diagnosi precoce del tumore mammario. Cosa ne pensa?
«Come Croce Rossa abbiamo fatto molto di più. Nel senso che, sorto questo progetto, abbiamo sottoposto le donne che hanno aderito allo screening a visita, ma non con una cadenza biennale. Abbiamo cercato di dare una impostazione. Soprattutto, abbiamo cercato di informare le persone. In base alla mia esperienza, ho trovato solo donne molto, molto spaventate. Donne che non avevano idea o che erano convinte che l’aver fatto solo una mammografia avrebbe risolto il problema. Non è così. Oggi, il primo step senologico è fatto da una triade: 1) visita oncologica; 2) ecografia; 3) mammografia. A ciò si aggiunge la FNAB (l’ago aspirato mammario), che consente al medico di fare un esame citologico, con una approssimazione intorno all’ottanta-novanta per cento, e la Core-Biopsy che permette di fare addirittura un esame micro-istologico. Cosa che noi facciamo normalmente. In pratica, per avere la conferma di una diagnosi non si fa più un intervento a cielo aperto, a meno che non si tratti di un caso particolare. Questo iter serve solo a permetterci di fare una diagnosi più completa ed attendibile, cosa che prima non era possibile».
Infine, Lei in precedenza ha accennato al fatto che ha incontrato donne spaventate e poco informate. Quale messaggio possiamo lanciare affinché si riesca a mitigare, o meglio, a scardinare i tabù legati al tumore alla mammella?
«Premetto che non è colpa delle donne se si sono approcciate male. Se si viene da un background, da una visione sviluppata nell’abito del nostro hinterland è normale che, quest’ultime, siano convinte che una mammografia e/o una ecografia – senza una valutazione oncologica – siano sufficienti. Non è così. Sulla base della mia esperienza professionale, posso dire di avere operato donne con cancro della mammella, con mammografia e/o ecografia negativa, poi l’ago aspirato ha tirato fuori il cancro, anche invaso. Innanzitutto, quindi, il primo consiglio che posso dare è quello di affidarsi a degli specialisti, ai senologici. E poi, soprattutto, consiglio di non spaventarsi se il medico chiede l’ago aspirato: non è una condanna. È come fare un prelievo, invece che di sangue, di cellule».
Rosy Merola – SinergicaMentis