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#FestivalSanremoHistory (3), musica e società: Il Premio della Critica del Festival della Canzone Italiana “Mia Martini”

 

Lei. La voce. Mimì. Un’artista a cui la musica italiana, compreso il Festival di Sanremo, ha tolto tanto. Tutto: la vita.

Gli esordi sanremesiMia Martini esordisce al Festival di Sanremo nel 1982 con “E non finisce mica il cielo” (di Ivano Fossati). XXXII edizione (che offre molti spunti di riflessione, eventualmente, da trattare in separata sede) del concorso canoro che, quell’anno, non manca di offrire peculiarità e stranezze varie. È sufficiente pensare che accanto al gruppo “B” dei Big che vanno di diritto in finale – seguendo la suddivisione adottata nel 1980 – troviamo il gruppo “A”, un calderone di esordienti e vecchie glorie, a rischio eliminazione. (Qui, tra gli altri, viene inserito un certo Claudio Villa. Il “reuccio” che, alla fine, sarà escluso anche dalla finale). Nonostante ciò, il festival dei fiori non smentisce la sua vera natura quando si arriva al podio. “Perché Sanremo e Sanremo”. Così, vince Riccardo Fogli con “Storie di tutti i giorni”. Cronaca di una vittoria annunciata, non scevra di polemiche. Queste finiscono a tarallucci e vino, o meglio nel “bicchiere di vino con un panino” del secondo posto di Albano e Romina con la loro nazionalpopolare “Felicità”.

In effetti, a pensarci bene, siamo pur sempre agli inizi degli anni 80 “da bere”. Un periodo in cui gli italiani desiderano un po’ di leggerezza, dopo i cosiddetti anni di piombo – gli anni ’70 –, quelli delle domenica in austerity (a seguito della crisi energetica del 1973 incalzata dell’aumento del prezzo del petrolio da parte dell’OPEC in risposta alla Guerra del Kippur); degli alti livelli d’inflazione; della legge sul divorzio e quella sull’aborto; delle Brigate Rosse; dell’assassinio di Aldo Moro; delle dimissioni – le prime volontarie – del Presidente della Repubblica Giovanni Leone.

 

 

In questo clima socio-culturale, non basta l’interpretazione da brividi di “E non finisce mica il cielo” per dare a Mia Martina ciò che era di Mia: ovvero un posto sul podio di Sanremo. Incanta e meraviglia al punto tale che, proprio per questo, gli addetti ai lavori (giornalisti e critici musicali) decidono di istituire apposta per lei il Premio della Critica del Festival della Canzone Italiana. Voce e interprete unica. Un talento evidente e palpabile, per questo temuto e – forse – ostacolato dallo start system. In maniera subdola e bieca cominciano a circolare maldicenze sulla sua persona e, parafrasando Gioacchino Rossini, si sa che: «La calunnia è un venticello Che insensibile, sottile. […] Leggermente, dolcemente. Incomincia a sussurrar. Piano piano, terra terra, Sottovoce, sibilando. Va scorrendo, va ronzando. Nelle orecchie della gente. S’introduce destramente…». Mia Martini sperimenta sulla propria pelle tutto ciò. Una spirale negativa fatta di ignoranza e cattiveria gratuita che la travolge e la risucchia come il vortice di un ciclone. Colpita nell’animo e affondata dal perdurare dell’ostracismo abietto da parte dell’ambiente musicale italiano, l’interprete calabrese decide di ritirarsi dalle scene per diversi anni. Troppi per i suoi estimatori.

Il ritorno – È il febbraio 1989 quando decide di ritornare al Festival di Sanremo con un altro capolavoro: “Almeno tu nell’universo”. Avvolta nei lunghi abiti da sera di Armani (all’epoca oggetto di critiche) con quei pugni stretti alzati verso il cielo al momento dell’attacco del ritornello, simbolo di forza e di rivincita. Come un’araba fenice, Mimì rinasce dallo squallore delle malelingue e torna a splendere e a emozionare.

 

 

Tuttavia, nemmeno questa volta il popolo del Festival riesce a premiare il talento e il brano magistralmente interpretato da Mia Martini. Vince “Ti lascerò” del duo Oxa-Leali con una votazione quasi plebiscitaria (6 milioni di voti espressi tramite le schedine del Totip). Toto Cutugno, l’eterno secondo, con “Le mamme” (2 milioni di voti). Terzi Albano e Romina con il brano ecologista “Cara terra mia” (1,3 milioni di voti). Un’edizione non all’altezza della bravura di Mia Martini. A partire dai “figli d’arte” con la loro conduzione stucchevole e piena di gaffes; gli sketch a sfondo religioso del Trio Marchesini-Lopez-Solenghi (considerati dal mondo cattolico blasfemi) e gli interventi di Beppe Grillo, allora ancora in veste di comico. A Mimì viene assegnato il suo secondo Premio della Critica. A cui si aggiunge il terzo, nel 1990, quando si esibisce con “La nevicata del ‘56”.

 

 

Il Premio della Critica del Festival della Canzone Italiana “Mia Martini” –  Nel 1996, un anno dopo la sua morte (il 12 maggio 1995, “[…] che giorno triste questo mio…”) – di “diritto” diventa: Il Premio della Critica del Festival della Canzone Italiana “Mia Martini”. Un riconoscimento postumo dal retrogusto amarissimo perché, come aveva cantato proprio lei: «Sai, la gente è strana, prima si odia e poi si ama, cambia idea improvvisamente, come fosse niente. Sai la gente è matta, forse è troppo insoddisfatta, segue il mondo ciecamente. Quando la moda cambia, lei pure cambia continuamente e scioccamente…». Tu che davvero eri diversa: “almeno tu nell’universo”. Scusaci, se puoi, perché non siamo riusciti ad “ascoltarti” oltre la tua voce. Perché non siamo riusciti a cogliere quel dolore atavico che tenevi stretto nei tuoi pugni chiusi per timore che – sfuggendoti di mano – ti avrebbe potuto sconfiggere. Braccia tese verso il cielo che, a distanza di anni, appaiono come una richiesta d’aiuto. Una preghiera verso l’infinito:

«Tu dona o mio Signore

A chi ti chiederà

A chi non vede, gli occhi

La pace a chi non l’ha

[…] io chiedo, solamente

di me non ti scordar!»

Rosy Merola


Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.