#ItalyStyleInterviste

#ItalyStyle: Maria Chiara Maggi e il bon ton raffinato dei bimbi firmati MAGIL

LAVAGNA (GE), 24 GIUGNO 2014 – Al cento per cento #ItalyStyle la storia del marchio MAGIL, così come lo è quella di Maria Chiara Maggi, la giovane imprenditrice, nonché stilista che – dall’11 ottobre 2011– ha rilevato e preso in mano ago e filo per rilanciare e far tornare in auge tale brand. “Made in Italy since 1966″, come sottolinea l’etichetta che accompagna gli abiti “bon ton” di fine sartoria destinati al mondo dei bambini. Un mondo fiabesco, colorato, dolce come il profumo dei biscotti, quello di Magil, dove i bimbi – come puntualizzano sul sito aziendale – non sono troppo contaminati dai grandi. Una bella realtà italiana che (r)esiste e che non poteva lasciarci indifferenti. A tal riguardo, abbiamo ritenuto opportuno rivolgere alcune domande a Maria Chiara Maggi:

Per le atmosfere trasognanti che le Sue creazioni riescono ad evocare, per le Sue origini liguri e per come si è evoluta – prima stilista e poi giovane imprenditrice – la Sua storia è stata descritta come una fiaba di Andersen. Si rispecchia in ciò?
«La fiaba continua a far parte del mio excursus formativo. Infatti, trova origine già nella mia infanzia – seconda di quattro sorelle – nei miei ricordi da bambina. Sarà anche per via del mio “disordine creativo”, traevo ispirazione dalle atmosfere e dai vestiti dei personaggi dei libri illustrati. Ciò faceva partire la mia fantasia. Così, l’infanzia è stata segnata da un’attenzione nei confronti delle forme e dei colori, inspirati dal mondo fiabesco. Tale definizione, quindi, mi rispecchia molto».

Sull’etichetta dei capi che MAGIL realizza si legge: “Made in Italy since 1966″. Cosa significa per Lei la dicitura “Made in Italy”?
«Quando ho deciso di rilevare MAGIL – un marchio italiano storico del 1966 – da poco era stato effettuato un restyling del logo. Proprio perché “non c’è futuro senza una vera storia”, ho deciso di ritornarci su – riprendendo quello usato negli anni ’60 – aggiungendo la dicitura “Made in Italy”. Questo perché, essendo il “Made in Italy” il terzo marchio più importante al mondo e, poiché, i miei capi vengono prodotti esclusivamente in Italia, mi sembrava un valore da comunicare fin dall’etichetta. Per me, la produzione italiana vuol dire che c’è un controllo diretto della filiera. Noi abbiamo dei laboratori che seguiamo personalmente, questo ci consente di controllare e garantire la qualità della filiera e delle materie prime utilizzate».

La “nuova” gestione MAGIL – il prossimo 11 ottobre – spegnerà tre candeline. Qual è il bilancio di questi primi anni di attività?
«Quando ho deciso di rilevare il marchio, la mia intenzione  era quella di partire con un passo molto deciso ma – allo stesso tempo – alla portata delle mie possibilità (della mia gamba). La crescita è stata collegata al successo o all’ insuccesso di tale iniziativa. Non ho voluto fare delle programmazioni pubblicitarie grandi, oppure partecipare al buio a fiere e via discorrendo, perché l’attività si è dovuta finanziare da sola. Nonostante ciò, siamo contentissime di questi primi tre anni di attività. Un bilancio molto positivo. Infatti, in quest’ultima stagione, MAGIL sta attirando l’attenzione di grandi gruppi internazionali – dalla Cina, agli Emirati Arabi – che si sono accorti della nostra presenza nel mercato e sono stati loro a cercarci. La nostra comunicazione, il nostro punto di forza è stato solo ed esclusivamente il nostro prodotto e siamo state premiate. Per cui, spegniamo la terza candelina con dei successi unicamente legati al durissimo lavoro che è sto fatto da me e da tutte le ragazze che collaborano con me».

Sulla base della Sua esperienza di giovane imprenditrice, quali sono – se ce ne sono state – le difficoltà maggiori che ha riscontrato nell’avviare un’attività imprenditoriale in Italia?
«Di difficoltà, purtroppo, ne ho incontrate tante. Sono entrata a far parte di un consorzio toscano, composto da undici aziende, tutte made in Italy. Innanzitutto, sono l’unica – di queste undici aziende – che non ha potuto accedere – come Regione Liguria – neppure ad un euro di contributo. A differenza di quanto avviane, invece, in Emilia Romagna, Toscana, Lombardia, se partecipano ad una fiera hanno un rimborso del 40-50% a fondo perduto, per quanto ci riguarda – in Liguria – non esiste un bando per agevolazioni. Allo stesso modo, noi siamo un gruppo di sole donne – di cui io sono la più grande (30 anni. 27 quando è stata rilevata l’azienda) – non abbiamo ottenuto neppure un centesimo di contributo per esportazioni e produzione in Italia. Nessun contributo era contemplato dai vari enti a cui ci siamo rivolte. Questo, nonostante tutti si riempiano la bocca con la parola “donne”, “imprenditorialità femminile”; “produzione”; “Made in Italy”; “giovani”; “start-up”. Niente. Nonostante, teoricamente, rientreremmo in tutte queste “punte di diamante” eppure non siamo riuscite ad ottenere nessun tipo di agevolazione e/o contributo. Ce ne siamo fatte una ragione – lavorando il triplo – perché crediamo in tutto quello che facciamo e lo facciamo con passione. D’altra parte, in un certo senso, siamo favorite noi, perché – in questo periodo di vacche magre – non siamo mai state abituate ad aspettarci niente da nessuno. Vedo tanti miei colleghi imprenditori che sono abituati – a fine anno – a ricevere dei contributi, dei finanziamenti. Quando questo non è successo, perché alla fine i finanziamenti non sono stati più dati, si sono trovati in difficoltà. Noi, essendoci fatte le ossa in salita, avendo fatto tutto con le nostre forze e con il nostro lavoro – senza aspettarci nulla da nessuno – può darsi che siamo state favorite in questo momento di difficoltà, perché siamo emerse. Tutto ciò, ribadisco, senza nessun aiuto. Le risorse ci sono, ma vengono distribuite male – sprecate – senza un minimo di criterio e senza un vero progetto dietro».

Il Suo “disordine creativo” – ovvero estro e talento per chi osserva e acquista le Sue creazioni – da cosa trae ispirazione?
«Prima di rilevare la MAGIL, svolgevo il lavoro di stilista. Ho frequentato una scuola di moda e poi ho iniziato a fare la consulente esterna per diverse aziende. Disegnavo, facevo ricerca del tessuto, del colore, delle diverse fantasie per molti clienti. La cosa che mi ha incoraggiata a staccarmi dalla libera professione, per dedicarmi a qualcosa di mio, è stato il verificare che tutto le cose in cui apportavo la mia creatività erano le più vendute. In pratica, tutte le linee da me create per le diverse aziende risultavano essere il “best seller” della stagione. Questo mi ha dato molta forza. Poi, oltre alla mia indole innata – che da sempre mi porta a cercare materiale inedito e originale – c’è molto studio e ricerca. Frequento le fiere principali, a Milano e Parigi. Sono pochi giorni, ma molto intensi sotto tale profilo».

In un’epoca in cui i fatti di cronaca offrono una triste istantanea della società odierna, che evidenzia una crisi non solo economica ma anche di valori, Lei – con la Sua storia e i Suoi capi che fanno ripensare al “bel tempo che fu” – è in controtendenza. “Una goccia di splendore”, rifacendoci ad un Suo illustre corregionale De Andrè. Quanto, in tutto ciò, hanno inciso la sua famiglia e le sue radici?
«La mia famiglia e i valori che mi hanno trasmesso, continuano ad avere un ruolo fondamentale nella mia vita. Provengo da una famiglia molto unita. Educata dai miei genitori, sono cresciuta attraverso la compagnia delle mie sorelle ed anche dei miei nonni. Importante, per quanto concerne la mia formazione, è stato anche l’ambiente della ginnastica ritmica, dove mi allenavo duramente. Tutto ciò, mi ha dato una educazione fatta di grandi valori, poggianti sul lavoro, sulla disciplina. Allo stesso tempo, mi è stato insegnato a dare valore alle cose. Me ne accorgo, soprattutto adesso, ripensando all’accortezza con cui il mio papà ci educava al non spreco. Questa idea dei valori materiali è ben impressa nella mia mente e la rimando sul mio prodotto. Pur essendo consapevole del fatto che i capi MAGIL non sono alla portata di tutti, c’è – tuttavia – tantissima attenzione nel rapporto qualità/prezzo. Per cui i nostri prezzi non sono rincarati, in maniera spropositata, come avviene nella maggior parte delle aziende, ma viene fatto in modo tale che questo consenta la copertura dei costi e, di conseguenza, permetta di andare avanti con l’attività. Un altro ricordo dell’infanzia è legato al giorno della prima comunione mia e delle mie sorelle. Partivamo alla ricerca dell’ “abito bello” da comprare per l’occasione. Questo è quello che vorrei succedesse, anche oggi, ovvero che – almeno nelle occasioni speciali – le famiglie italiane prediligessero per i loro bimbi un MAGIL. Infatti, se i nostri capi possono essere impegnativi in alcuni contesti quotidiani, per le occasioni se li possono permettere tutti».

Si può dire che uno degl’ingredienti che rendono speciali le Sue creazioni – oltre alla ricerca dei materiali italiani di grande pregio e alla cura dei particolari – è dato dal fatto che Lei ancora riesce a guardare il mondo con lo stupore e l’entusiasmo di un bambino?
«Esatto. Posso sottoscriverlo. Quando guardo le collezioni di alcuni miei competitor, che sono proprio su un altro target, mi viene spontaneo dire: “Mamma mia. Sono bambini travestiti da adulti!”. Ci sono alcuni brand che, in sostanza, “rimpiccioliscono” le loro collezioni donne-uomo. Invece, oltre al fatto che ho un gusto mio personale abbastanza fanciullesco, il mio prodotto mira a vestire un bambino– anche se può apparire una frase per il marketing – vestito da bambino, pur seguendo le tendenze. Sono creazioni che si vedono poco in giro, come stanno riscontrando in molti. I vestitini sembrano un po’ usciti da dei libri di illustrazione. Pur essendo una cosa inconscia, guardare e disegnare i miei lavori con l’occhio di un bambino è insito in me. È qualcosa mi porto dentro fin da quando – all’elementari – mi dedicavo con passione al disegno».

La MAGIL, anche quest’anno, sarà protagonista – dal 26 al 28 giugno – del “Pitti Immagine Bimbo”. Può darci qualche anticipazione?
«Si tratta di un appuntamento fondamentale che si svolge due volte l’anno. In questa edizione, presenteremo la collezione primavera-estate 2015. Sarà un trionfo di fiori. Una linea sui toni fucsia-rosa, con le foglioline verdi pistacchio. Ci sarà anche una linea – sempre fiorata, però blu – con delle sfumature di azzurro polvere. Poi, ricollegandoci allo sguardo dei bambini, presenteremo un tema molto spiritoso, ispirato al mondo dei dolci. Una stampa ispirata ai cupcake – molto di tendenza – e degli accessori molto spiritosi che si rifanno alle “ciambelline”, ai “biscottini”. Infine, essendo la MAGIL in Liguria, non poteva mancare il tema classico riguardate lo stile marinaro. A tal proposito, abbiamo girato uno video sulla Baia delle Favole, a Sestri Levante».

Quali sono gli obiettivi futuri di MAGIL? Inoltre – visto che il disordine creativo e l’estro che La caratterizzano, La spingono a realizzare capi d’abbigliamento ed accessori (giusto per fare un esempio, la pochette ispirata alle sue vecchie scarpette di danza che si possono osservare sul suo sito: www.mariachiaramaggi.it) non solo per bambini – nel futuro ci possiamo aspettare da Lei il lancio di collezioni destinate ad altri mercati?
«Per la MAGIL, sicuramente, l’obiettivo è quello di confermare – anche per il futuro – l’evoluzione testata in questi anni. Continuare a crescere con un passo deciso, senza – tuttavia – fare il passo più lungo della gamba. A tal riguardo, c’è in cantiere l’idea di affiancare un piccolo laboratorio al nostro atelier. Questo, oltre a rappresentare una comodità, consentirebbe di creare direttamente dei campioni. Questo è un mio sogno, che pare si realizzerà nel giro di pochi mesi. Un altro obiettivo è quello di poter continuare ad assumere nuove figure, riuscire a creare lavoro. Per quanto riguarda il dedicarmi ad altre linee, non dico che andranno a scemare, perché è un lavoro che mi appassiona tantissimo. Tuttavia, per star dietro alla MAGIL – per ora – ho dovuto ridimensionare le collaborazioni con altre aziende».

Infine, una domanda meno “professionale”: a cosa Maria Chiara Maggi non potrebbe mai rinunciare?
«Di sicuro, non potrei mai rinunciare ad esprimermi. In questo momento della mia vita, la mia espressione è nel campo del lavoro. L’importante è fare ciò per cui ci si sente portati e realizzati. Non c’è nulla a cui non rinuncerei mai. C’è posto per tutto nella vita, sia sul piano personale – come il diventare mamma in futuro –, che sul quello professionale. Penso che questi due aspetti possano perfettamente collimare».

Così, alla fine di questo breve viaggio nel mondo di Maria Chiaria Maggi, nessuna parola riesce a catturarla meglio della foto che la ritrae in questo articolo: sguardo rivolto verso l’alto, all’altezza – appunto – dei suoi sogni, della sua creatività, del suo estro, della sua passione. Allo stesso tempo, una giovane donna risoluta, tenace e concreta – con i piedi ben radicati al suolo – grazie alle sue radici e alla sua disciplina, seppure elegantemente in punta di piedi (ginnastica ritmica docet). Perché – in fondo – parafrasando Friedrich Nietzsche: «Bisogna avere un caos dentro di sé, per generare una stella danzante».

Rosy Merola – SinergicaMentis

Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.