Emozioni Film&TvMusicalMentis

Ligabue racconta la docu-serie “Ligabue – È andata così”: «Trent’anni di carriera e di vita su e giù da un palco»

 

Sette temi scelti raccontati in sette capitoli, ciascuno composto da tre episodi di circa 15 minuti. Questo è in sintesi “Ligabue – È andata così”: la docu-serie che – dal 12 ottobre sulla piattaforma RaiPlay -, ripercorre 30 anni della carriera del cantautore di Correggio attraverso la voce narrante di Stefano Accorsi, con la regia di Duccio Forzano.

«Il progetto all’inizio è stato subito intrigante ma era anche difficile capirne la forma, perché era il come raccontare la mia storia che avrebbe fatto la differenza», ha spiegato un po’ emozionato Luciano Ligabue in collegamento dalla Sala degli Arazzi della Rai. Un biopic in cui il cantautore si è messo a nudo, raccontando luci ed ombre della sua carriera dalla fine degli anni ‘80 ad oggi.

«Un entusiasmo crescente ci ha accompagnato in questi mesi, mentre i vari capitoli di “Ligabue – E’andata così” erano in preparazione – ha puntualizzato Elena Capparelli, Direttore di RaiPlay e Digital.  Un vero regalo, lungo trent’anni, per il nostro pubblico e per i fan di Liga, che ci regala ancora una volta emozioni, musica e parole».

«Abbiamo raccolto più di cinque ore di materiale ed è un viaggio ambizioso perché racconta un viaggio così importante anche attraverso i momenti meno semplici. Ci siamo divertiti a farlo, ridere insieme e affrontare anche le zona d’ombra racconta bene chi è Luciano. Mi ha raccontato le cose in un modo molto onesto. È un racconto diretto che si sviluppa non all’interno di una canzone. Con Luciano si ride e si parla di un sacco di cose, non ci si annoia, dietro un suo punto di vista c’è sempre un pensiero. Non è mai buttato lì così ed è raro oltre che prezioso. Sono felicissimo di aver accompagnato Luciano e mi auguro che la nostra collaborazione continui anche sotto altre forme», ha evidenziato Stefano Accorsi coinvolto nel progetto da Ligabue che ha sottolineato: «Tra di noi c’è una grande sintonia. C’è una amicizia di vecchia data ma lui sa scherzare e mi piaceva ci fosse una parte umoristica. Fa il deejay che racconta, fa il complice e ogni tanto sbrachiamo perché ci veniva bene».

Uno spaccato di vita professionale e personale del cantautore di Correggio che – tra aneddoti, ricordi lontani e racconti inediti -, si intreccia inevitabilmente con la storia dell’Italia e degl’italiani.

«È sempre difficile perché io vengo da una scuola di pensiero tutta mia. Credo che le canzoni dovrebbero saper parlare da sole. Ma è un pensiero, tra virgolette, quasi codardo. Tuttavia, mi sono reso conto di essermi raccontato così tanto attraverso le canzoni. La terza puntata dal titolo “Parlaci di te” smentisce uno degli aggettivi che mi vengono appioppati, ovvero riservato. È la puntata sulle canzoni che si soffermano sulle cose più intime: lutti, separazioni, nuovi amori, nascite. Una messa a fuoco su un aspetto che forse risulta un poì più vago rispetto a quello che scrivo», ha raccontato Luciano Ligabue, il quale ha riassunto così le altre sei puntate«La prima racconta gli esordi; la seconda è “Boom” con l’esplosione a metà degli anni Novanta. Della terza ho già parlato. La quarta è “Facci un po’ vedere” ed è focalizzata sui miei tre film. La quinta si sofferma sulle mie tre grandi crisi professionali, tra cui una in cui volevo ritirami. Sul perché di queste tre crisi. La sesta è “100mila storie” ed è il mio rapporto col pubblico che è un concetto anche un po’ arrogante perché il pubblico non è mai tuo, poi devi restituirlo a se stesso. Infine, chiudo con l’anima dei posti dove abbiamo suonato, dai parcheggi dei supermercati fino alla nuova Arena RCF di Campovolo che ci sarà nel 2022».

In merito alle tre grandi crisi accennate: «La prima è quella del terzo album, “Sopravvissuti e Sopravviventi”, che sembrava avere fatto sparire tutto il pubblico conquistato nei due album precedenti. La seconda è datata a fine anni Novanta e riguarda la gestione della popolarità che ho risolto in “Miss Mondo” dove ho parlato delle parti oscure del successo e la gente non le vuole sentire perché il successo è il nirvana occidentale. Era giusto che io testimoniassi questa cosa. Dopo tale album sono ripartito. Poi in “Made in Italy” per un concept album che diventa un film e mi sono trovato a impersonare un’altra persona, Rico. Poi, durante il tour di Made in Italy, ho perso la voce per un polipo alle corde vocali. Mi sono dovuto operare, rinviare i concerti che stavo facendo, con titti i disagi che ciò comporta e con la sensazione che la voce non sarebbe stata più quella di prima: è passato ma quando ci passi in mezzo è dura».

In trent’anni di vita tante cose sono cambiate, come ha puntualizzato Ligabue: «Poche sono le cose che non sono cambiate. Si cambia naturalmente figurarsi con un mestiere con tutte queste sollecitazioni emotive. Se si guarda cosa ho combinato in questi trent’anni – canzoni, libri, film, raccolte di poesie – ho fatto un mucchio di cose, significa che sono sempre andato avanti a testa bassa. Il Covid mi ha permesso, non potendo guardare avanti, di guardare indietro, muovendo anche parecchia nostalgia e tenerezza».

Restando in tema di Covid, il cantautore ha aggiunto: «Sono contento di avere sentito che siamo stati virtuosi nella gestione della pandemia, poi che il mio settore è stato colpito è vero, una categoria intera di lavoratori è stata messa in ginocchio. Io friggo in attesa della mia festa nel 2022, spero si torni alla normalità ma serve la giusta cautela. I cambiamenti si subiscono nel nostro quotidiano, è lui che ci fa cambiare, spesso sono difficili da trattare ma credo che trovarsi a che fare con persone che credono in te e mandare loro messaggi attraverso le canzoni è una responsabilità quotidiana. Sono tossico di live e mai sono stato fermo due anni, guardo a giugno del 2022 come un obiettivo che merito e merita anche chi ha conservato il biglietto per due anni. La mia stella polare è stata di non potere rinunciare a fare concerti. Dalle mie parti si dice mai gettare via il brodo grasso; avere di fronte un pubblico è il mio spettacolo ed è un peccato doverne fare a meno.».

Parafrasando il titolo della docu-serie: se non fosse andata così? «Con i se non si fa nulla, credo forse che avrei cambiato molti lavori perché la mia vita antecedente a quella musicale mi ha fatto cambiare spesso. Chissà se li avrei trovati in questo periodo», ha puntualizzato Ligabue.

Difficile riassumere in una docu-serie tutto. Cosa è rimasto fuori? «Dico solo che i miei singoli sono 77 e non ci sono stati tutti. Una vita non sta neanche in un libro, si va per sommi capi». Infine, ha concluso Luciano Ligabue: «Non posso spoilerare la chiusura di questa serie, ma c’è una promessa che ci facciamo io e Stefano Accorsi su ciò che faremo in futuro».

 

Prodotta da Friends & Partners e Zoo Aperto, “Ligabue – È andata così” è una cosa “grossa”, come l’ha definita Ligabue, in un continuo avvicendarsi di differenti registri narrativi: fiction, doc, attualità. Con l’alternarsi di immagini e testimonianze di tanti amici e colleghi che in qualche modo hanno fatto parte della vita dell’artista. Tra questi, nelle prime tre puntate: Max Cottafavi, Mauro Coruzzi, Francesco De Gregori, Elisa, Eugenio Finardi, Gino e Michele, Marco Ligabue, Linus, Claudio Maioli, Nicoletta Mantovani, Giovanni Marani, Robby Pellati, Federico Poggipollini, Mel Previte, Camila Raznovich, Massimo Recalcati, Rigo Righetti, Gerry Scotti, Walter Veltroni.

 

Rosy Merola

Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.