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Chico Forti, Rostan Pd: il nostro connazionale ha diritto ad un giusto processo

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ROMA, 17 OTTOBRE 2015 – Il 24 settembre 2014, la camera dei deputati approvava la mozione n. 1/291, con la quale il nostro parlamento ha impegnato il governo ad assumere in ogni sede qualsiasi iniziativa di competenza volta a tutelare il concittadino Enrico Forti, come più volte in precedenza il governo italiano ha ritenuto di dover fare in difesa di altri concittadini condannati e detenuti all’estero, considerato anche il fatto che lo stato italiano intrattiene con il governo degli Stati Uniti ottimi rapporti diplomatici che hanno portato anche di recente alla soluzione di casi giudiziari controversi. La nostra è stata un’iniziativa alla quale hanno aderito quasi 50 deputati che, oltre a rappresentare una speranza per il nostro concittadino detenuto negli Stati Uniti, costituisce anche e, soprattutto, un momento di riflessione collettiva rispetto all’importanza ed al valore del principio del giusto processo. Un principio un principio che tanto bene la nostra Costituzione ha declinato nell’art. 111 e che convintamente trattati internazionali e convenzioni bilaterali ai quali il nostro paese e gli stessi stati uniti hanno aderito in passato, affermano con altrettanta solennità’ e chiarezza. La storia di Chico Forti che merita un serio e severo riesame da parte dell’autorità’ giudiziaria americana, si presta oltre che ad una lettura di carattere tecnico, anche ad una visione politica: affinché la storia stessa e le vicissitudini di tutti i suoi protagonisti – non solo Chico, ma anche i suoi figli, i suoi congiunti – possano costituire un precedente storico utile per la collettività, per la nostra democrazia, per la democrazia americana. Il nostro lavoro deve essere diretto ad affermare un’idea ben precisa, che deve essere elemento fondante di ogni stato democratico, ovvero che nessuno può subire limitazioni irreversibili o durature della propria libertà’ personale, mentre si professa innocente e mentre forti, anzi fortissimi, sono i dubbi circa i presupposti processuali e probatori posti a fondamento di una barcollante dichiarazione di colpevolezza.

Attraverso la vicenda di Chico, al quale va tutta la mia personale solidarietà quale cittadina, avvocato e deputato italiano, ciò che dobbiamo affermare quest’oggi è l’universalità del giusto processo e di tutte le garanzie che – seppur con varie sfumature – ogni ordinamento che abbia l’ambizione di definirsi progressista, moderno, equilibrato, deve essere in grado di garantire, in modo eguale, a tutti i soggetti ad esso sottoposti. Proprio su questo aspetto, sul fatto che questa idea di “giusto processo” abbia trovato applicazione nel caso di Chico Forti, io, personalmente, nutro fortissime perplessità. Le stesse perplessità che, evidentemente, sono condivise dai tanti, tantissimi colleghi che hanno aderito alla mozione e poi l’hanno votata in parlamento, dai numerosi comitati e movimenti di sostegno a Chico forti sorti in tutto il paese, spontaneamente, per combattere quello che potrebbe essere, potenzialmente, uno degli errori giudiziari più gravi ed eclatanti della storia, da voi tutti, che siete qui stasera. Perplessità che trovano riscontro in tanti aspetti della storia processuale di Chico Forti. Innanzitutto i tempi stretti del processo per i quali mi domando: è possibile giudicare e costruire un quadro probatorio che porti alla condanna di un uomo incensurato e che si professa innocente, all’ergastolo, senza condizionale, in pochissimi giorni? Faccio molta fatica a credere che una pubblica accusa possa avere, in soli 25 giorni, il tempo materiale per leggere le carte e studiare le prove del reato, approfondire il movente, scartare le prove di una difesa. Faccio fatica a ritenere completo un processo che si conclude senza un secondo grado di giudizio che, in qualche modo dia il proprio “imprimatur” al primo grado; così come fatico  a ritenere “coscienzioso”, ed è questo il punto più’ delicato della questione, un sistema processuale che consente all’organismo giudicante interpellato di rigettare un’istanza di revisione senza alcuna motivazione apparente e senza alcuna ragione giuridica. Credo, pertanto, sia stato ragionevole attivarsi per la riapertura del processo di Chico Forti.
Attenzione qui non si discute di innocenza o di colpevolezza,questo spetterà alla magistratura americana stabilirlo, magistratura nella quale continuo a nutrire piena fiducia, ma dobbiamo affermare con forza che un nostro concittadino deve avere la possibilità’ di difendersi, di dimostrare la propria innocenza, di ribaltare un verdetto drammaticamente celere e, per tanto, superficiale. Tralasciando gli aspetti tecnico – legali,  affinché la politica possa compiere i propri passi sul difficile terreno della diplomazia, è necessario che all’azione giuridica si affianchi anche la indispensabile attività’ del nostro popolo e di quella del governo italiano, per ottenere che  una revisione vera e propria del processo possa essere decisa dalle autorita’ americane e non scartata, con fastidio o con superficialità da chi in quel sistema e’ preposto a decidere dell’avvenire delle persone. Si tratta di salvaguardare un principio universale di fronte al quale non possiamo in alcun modo voltare le spalle. Montesquieu diceva che “giustizia ritardata e’ giustizia negata”: aveva pienamente ragione ed il suo pensiero è drammaticamente attuale.