1963 – 2023: 60 anni dalla fondazione del giornale cilentano “L’Appennino” di Vincenzo Lettieri

(Insegna “L’appennino”, Angellara di Vallo della Lucania (SA), foto di Rosy Merola)
Se fosse ancora in attività, “L’Appennino” – il giornale fondato da Vincenzo Lettieri, corrispondente cilentano del Corriere della Sera e de Il Mattino (anni Sessanta) – quest’anno avrebbe compiuto sessant’anni. Fondato nel 1963 da colui che è stato definito da Oreste Mottola (qui il link dell’articolo integrale: https://www.positanonews.it/2014/03/vallo-della-lucania-morto-a-95-anni-il-decano-dei-giornalisti-cilentani-vincenzo-lettieri/133675/) «il decano dei giornalisti italiani», L’Appennino fu un’impresa pionieristica e ardita.
Non a caso, in un componimento a lui dedicato (“A Vincenzo Lettieri”[1]), il poeta e scrittore Omar Pirrera[2], – siciliano di nascita ma cilentano di adozione – lo descrisse come un “Don Chisciotte” cilentano («[…] Non ricordo più l’anno in cui ho scritto questo componimento che a qualcuno dette fastidio, convinto che meritasse meglio di Vincenzo un mio intervento poetico […]» (Omar Pirrera, Vallo della Lucania, 19 marzo 2014):
«[…] Tu sei l’erede
di quel macilento
Cavaliere spagnolo
ancora in lotta
con i mulini a vento.
Per lancia
adoperi una penna
non addottorata,
ma per campo di battaglia
un foglio bianco
chiamato “Appennino”,
per Ronzinante
una malinconica Wolkswagen […].»
Riferimento letterario che sempre Pirrera aveva ripreso in un altro suo scritto (in forma di post qui su Facebook) datato 31 maggio 2017: «[…] Vincenzo Lettieri, come tutti i Don Chisciotte di questo pianeta, amava rompersi le corna contro i mulini a vento, proprio perché non c’erano sulla terra dei giganti con cui duellare, e sapeva benissimo di andare incontro alla sconfitta, duellando con un mezzo meccanico che non ha cuore, sentimento, mente […]», puntualizzando: «[…] Ho voluto scrivere queste poche parole per dare onore ad un uomo che si toglieva di bocca il pane per stampare un foglio che poi regalava a gente che si sentiva offendere solo al pensiero di prenderlo tra le mani, sì, proprio loro, deità di un loro olimpo (minuscolo) immaginario».
“Un foglio” simbolo di un giornalismo – scontato scriverlo – sotto alcuni aspetti non sostanziali (perché, a prescindere dal periodo storico, fondamentali e imprescindibili sono la deontologia professionale e la verifica delle fonti, princìpi non sempre “santificati”) fatto di chilometri di strada percorsi e fiumi d’inchiostro consumati. Prima dell’avvento della connessione internet e dell’email, degli smartphone con fotocamera e registratore integrati (svolta tecnologica accessibile; funzionale a chi è del mestiere). Avulso dalla (il)logica dei social; dei like; delle visualizzazioni; SEO e algoritmi vari. Insomma, per intenderci, gli articoli venivano scritti a penna o con una macchina da scrivere – senza Word e correttori automatici – e recapitati a mano o attraverso la posta ordinaria se si era corrispondenti. Qualcosa di impensabile ora, dove spesso conta la celerità della pubblicazione (con annessa omologazione e a “sacrificio”, in taluni casi, di una scrupolosa verifica delle fonti).
Una professione svolta in un territorio, il Cilento, volente o nolente diverso e – ahinoi – forse nemmeno tanto; preso atto del lento procede di tale area a sud di Salerno. A tal riguardo; in passato ha puntualizzato lo scrittore Antonio Pesca: «L’Appennino non era solo un periodico d’informazione, era la voce del Cilento. In esse Vincenzo Lettieri manifestava i disagi, i problemi di un’intera popolazione, e combatteva le battaglie per il compimento delle infrastrutture necessarie alla dignità di un territorio mortificato dall’atavico ritardo rispetto ad altre realtà. Lo faceva in maniera libera. Non aveva sponsor o finanziatori. Si autofinanziava, con i soldi che provenivano dagli unici padroni che riconosceva e provvedeva a servire: “I lettori” (Indro Montanelli docet, ndr)».
In tal senso, emblematico è il romanzo autobiografico dello scrittore italiano Carlo Levi, “Cristo si è fermato a Eboli” (1945), titolo che sintetizza e fotografa la realtà a tratti ancora attuale. Penso, ad esempio, alla viabilità. All’epoca in cui Lettieri iniziò il suo impegno giornalistico (primi anni ’50), la morfologia della rete stradale era in stato embrionale, in itinere o appena realizzata (come si evince dalla pubblicazione “Cassa per il Mezzogiorno – Dodici anni 1950 – 1962, IV volume: La viabilità”, pp. 253 -254)[3]. A onor del vero, i suoi primi scritti trattavano problematiche legate al suo paese, Angellara (tra i suoi primi pezzi, uno concernente il cimitero privo di una vera strada).
Così, sulla base di quanto scritto fin qui, l’impresa più ardua e complessa per Lettieri fu proprio la “missione” che aveva deciso di intraprendere: «[…] informare i cittadini di un territorio – scrive Oreste Mottola – ancora in buona parte alle prese con i problemi di analfabetismo e legato per la quasi totalità, all’agricoltura e dove in molti sceglievano l’emigrazione per trovare lavoro […]».
A distanza di sessant’anni, nel bel mezzo della frenesia estiva, ho pensato che tale impresa editoriale (d)El Ingenioso Hidalgo cilentano meritasse una breve e modesta menzione (lascio a chi ha più titolo di me, eventualmente, il compito di narrare meglio e con dovìzia di particolari la parabola de L’Appennino). Bisogno alimentato da diverse motivazioni: professionali, empatiche e umane. Colpita e affondata dall’amarezza delle parole (forse un po’ di parte dato il rapporto d’amicizia che legava il poeta e il giornalista, ndr) usate da Omar Pirrera – per far «comprendere il personaggio ieratico che è vissuto senza macchia e sena onore, ad Angellara, dove ancora, forse, troneggia l’insegna del suo campo di battaglia, un umile foglio, che Egli chiamava “Appennino”».
Per confermare che sì, a sessant’anni di distanza, l’insegna[4] “L’Appennino” è sopravvissuta (come si evince dalla foto allegata e, senza volerlo, ispiratrice di questo contributo) al tempo e agli uomini. A tal proposito, mi auguro continui a farlo a imperitura memoria, per finalità demoetnoantropologiche e secondo i precetti dell’archeologia storico-culturale. Perché, ricollegandomi al pensiero dello storico francese Jacques Le Goffe, tale insegna è diventata a tutti gli effetti un “documento/monumento”[5]. In quanto tale, da parte di chi rimane, l’impegno e l’onere di preservarla e tramandarla alle generazioni future.
Rosy Merola
[1] A VINCENZO LETTIERI (di Omar Pirrera) Noi siamo ancora quelli arroccati nelle piccole torri baronali a difendere un piccolo orgoglio cieco un tempo al discorso unitario del grande Federico II che ora dorme solo con il suo sogno in un'Isola del mondo. Noi siamo ancore quelli che lottano soltanto per il proprio fazzoletto di terra, ancora con gli occhi chiusi a chi ci sta vicino. Tu sei l'erede di quel macilento Cavaliere spagnolo ancora in lotta con i mulini a vento. Per lancia adoperi una penna non addottorata, ma per campo di battaglia un foglio bianco chiamato "Appennino", per Ronzinante una malinconica Wolkswagen. Tutta una vita spesa a colmare la tua fame di sapere comprando quintali di libri, mentre i grossi addottorati papponi compravano tonnellate di carne, di pesce, di pasta; esausti dal ridere nel vederti combattere contro i nuovi mulini elettronici. Quando un giorno dalla polvere del tempo qualche fortunato archeologo solleverà il velo del passato, solo il tuo campo di battaglia riemergerà a testimoniare che non tutto era deserto in questo spazio che ci hanno dato a vivere. solo il tuo campo di battaglia riemergerà a testimoniare che non tutto era deserto in questo spazio che ci hanno dato a vivere.
[2] Omar Pirrera (Caltanissetta, 10 dicembre 1932 – Vallo della Lucania, 23 gennaio 2021), insieme alla moglie Olimpia Castellano, rappresentano un importante tassello socio-economico e culturale di Vallo della Lucania e del Cilento, grazie anche alla storica Libreria/Cartoleria aperta da Pasquale Castellano (suocero di Pirrera), in attività sempre nella stessa sede vallese in piazza dei Martiri.
[3] Nella parte seconda “Gli interventi per regione”, III Capitolo “Campania”, il terzo paragrafo si sofferma sul “Miglioramento delle comunicazioni tra la piana di Paestum e Sapri con la creazione di un nuovo ed agibile percorso litoraneo nel Cilento in variante alla SS. 18 Tirrena Inferiore”. In esso si legge: «Oltre a creare una vantaggiosa alternativa al tortuosissimo tronco della SS. 18 tra Paestum-Vallo della Lucania e Policastro, il nuovo itinerario, che è stato classificato recentemente SS. 267 “del Cilento”, presenta elevato interesse turistico in quanto rende possibile l’accesso a costiere di particolare bellezza e sino ad ora quasi del tutto sconosciute. Si realizza con i seguenti interventi.
- Costruzione del tratto dalla Marina di Paestum per Licinella ad Agropoli e sistemazione delle strade provinciali da Agropoli e sistemazione delle strade provinciali da Agropoli per S. Maria di Castellabate-Acciaroli alla Marina di Casal Velino […].
- Costruzione della strada Marina di Casal Velino-Torre di Velia con ponte sull’Alento e sistemazione della Castellammare di Velia-Ascea-Pisciotta […].
- Costruzione della strada litoranea da Pisciotta per Caprioli-Palinuro a Marina di Camerota […].
- Costruzione della strada Lentiscosa-S. Giovanni a Piro e sistemazione dei tratti estremi esistenti da Lentiscosa a Marina di Camerota e da S. Giovanni a Piro a Policastro (innesto SS. 18 per Sapri) […].
[…] Connesse con l’itinerario suddetto, di cui aumentano la funzionalità sono la sistemazione delle strade provinciali: Agropoli-Torchiara, Acciaroli-Pollica-Rutino (SS. 18); Futani-Foria di Centola-Palinuro; Marina di Camerota-Scalo di Centola e la costruzione delle strade: Orria-Scalo Omignano; Pisciotta-S. Nicola-Scalo S. Mauro La Bruca-Foria di Centola e Sicili-Morigerati-Vibonati […]».
Cassa per il Mezzogiorno – Dodici anni 1950 – 1962, IV volume, “La viabilità”, Parte seconda – Gli interventi per regione: Campania, pp. 253 -254.
[4] Incerta, almeno fino a quando me ne sono interessa qualche anno fa, è invece la sorte del copioso archivio di materiale che Lettieri – nei suoi 95 anni di vita – aveva accumulato e conservava a casa. Mi auspico che non sia andato distrutto e che, invece, sia finito in amorevoli mani. Tuttavia, nel caso in cui tale materiale sia stato preservato, è opportuno sottolineare che nessun luogo sarebbe più adatto alla sua conservazione se non una biblioteca accessibile al pubblico.
[5] J. Le Goffe, Documento/Monumento, Enciclopedia Einaudi, Torino 1978, vol. V, pp. 38-43.