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Andrea Boyer: “Sturm und Drang” di luci ed ombre

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MILANO, 21 FEBBRAIO 2015 – SinergicaMentis inizia il suo viaggio nel mondo dell’arte con un’intervista ad un artista italiano, le cui opere – per eleganza, tecnica e forte impatto emotivo – incantano e meravigliano: Andrea Boyer. Un vero e proprio “Sturm und Drang”. Sconvolgimento ed impeto derivanti dal raffinato virtuosismo di luci ed ombre con cui Boyer dà vita ai suoi lavori. Infatti, sia che si tratti di scatti fotografici, che dell’inconfondibile tratto che la sua matita lascia su carta Schoeller, difficile rimanere indifferenti. Impatto che, forse, risulta essere ancora più prorompente quando si è dinnanzi ai disegni realizzati con la tecnica della grafite. Qui la comunicazione non verbale – che si instaura tra l’opera e chi l’osserva – diventa così incisiva da penetrare dentro, trasformandosi in una percezione fisica dell’emozione suscitata. Questo perché, come spiega il critico d’arte, Alberto Agazzani: «Il chiaroscuro esasperato, con quell’inseguirsi dei bianchi e dei neri assoluti, dalle più accecanti luci alle ombre le più cupe, è lo strumento, più mentale che reale, per trasportare la realtà visibile in una dimensione nella quale il pensiero si fa forma, il tempo spazio».

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1576, 2013. Stampa fineart su carta cotone Hahnemuhle Photo Rag. Ed. 5+2. cm 52,5×60

Tempo che, insieme alla luce, diventa il tema centrale di uno degli ultimi impegni professionale di Boyer, dove – per sua stessa ammissione – le opere riflettono gli alti riferimenti artistici a cui attinge: il Caravaggio per la drammaticità e la modernità dell’uso della luce e Vermeer per la sua visione oggettiva dei soggetti. Così, proprio da “La luce del Tempo” – la personale interamente dedicata alle fotografie dell’artista milanese – che inizia il nostro dialogo con Andrea Boyer:

“Tempo in sospensione” con la complicità della luce. Questo è lo studio su cui poggia “La luce del Tempo”. Ricerca che, a mio parere, trova nella sua opera “Nicchia ossidata con taglio di luce e uovo”, la perfetta sintesi ed espressione. Lavoro che, a sua volta, ha tradotto in immagini il concetto di tempo che Luciano De Crescenzo – nel film “32 dicembre” – ha cercato così di spiegare: «Il passato non è più, il futuro non è ancora: il presente come separazione tra due cose che non esistono». Perché questo suo bisogno di sospendere il tempo e come lo “strumento” luce lo aiuta a realizzare ciò?
«Lo strumento luce è alla base del vedere, ovviamente della fotografia, ed alla base di ogni mia immagine. I miei veri soggetti, “sono” la luce. La sospensione del tempo, mi da l’opportunità di fermare chi guarda, dilatarne il pensiero, comunicando un’emozione che resti sospesa il più possibile. È la staticità che mi permette di trovare un posto alle cose, di riconoscere ogni particolare, creando quindi soggetti infiniti, che di conseguenza ricreano la staticità del continuare a cercare, a riconoscere. Il tempo di riappropriarsi delle sensazioni».

 

Nicchia ossidata con taglio di luce e uovo, 2012. Stampa fineart su carta cotone Hahnemuhle Photo Rag. Ed. 5+2. cm 75x75
Nicchia ossidata con taglio di luce e uovo, 2012. Stampa fineart su carta cotone Hahnemuhle Photo Rag. Ed. 5+2. cm 75×75

 

 

Nicchia ossidata con taglio di luce, 2012. Stampa fineart su carta cotone Hahnemuhle Photo Rag. Ed. 5+2. cm 75x75
Nicchia ossidata con taglio di luce, 2012. Stampa fineart su carta cotone Hahnemuhle Photo Rag. Ed. 5+2. cm 75×75

 

In alcuni dei suoi ‘interni’, la sospensione del tempo rievoca atmosfere che fanno tornare alla memoria alcune scene del film “Il Gattopardo” di Visconti (dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa) e – di conseguenza – il concetto di gattopardismo: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Immobilismo che, a sua volta, ci riporta alla realtà dei nostri giorni, inducendoci a riflettere sul “laissez-faire” a cui si assiste da parte del mondo della politica e delle istituzioni, nei confronti dell’Arte e della Cultura. Alla luce di ciò, è difficile per un artista lavorare in Italia oggi? Si è mai scoraggiato?
«In Italia lo scoraggiamento è alla base di questo lavoro. Non ora che esiste una crisi, ma da sempre, lo Stato e le Istituzioni sono sempre state latitanti, per cui da sempre è difficile lavorare qui».

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Rimanendo in tema d’immobilismo – pensando alla polemica sollevata qualche mese fa dalla proposta di Vittorio Sgarbi di portare i Bronzi di Riace in «trasferta» a Milano per l’Expo 2015 – lei ha preso parte alla 54° Biennale Internazionale Arte di Venezia (2011) curata dal sopraindicato critico d’arte. Cosa le ha lasciato tale esperienza? Invece, in merito alla questione “Bronzi di Riace”, giusto o meno – secondo lei – spostarli a Milano?
«La Biennale è una vetrina molto importante, ma alla fine non cambia le cose nella sostanza se, questo vale per me, quello che interessa è continuare una ricerca. E’ un momento che comunque oltrepassi. Per quel che riguarda i “Bronzi di Riace”, gli stessi soldi potrebbero essere spesi meglio, per finanziare e far conoscere, il Museo nel quale sono ora».

Dalle luci ed ombre del Belpaese, torniamo al suo chiaroscuro. In particolare, osservando alcune delle sue foto in bianco e nero, emerge l’influenza che ha avuto su di lei la tecnica usata dal fotografo americano, Ansel Easton Adams. Questo, a mio parere, non si evince soltanto dai suoi scatti fotografici, ma anche dai disegni a matita. Mi spiego meglio. Per quanto mi concerne, nel suo sapiente dosaggio dei neri e dei bianchi, lei ha cercato di trasferire il “sistema zonale” inventato da Adams su carta. Sbagliata questa percezione?
«Più che un trasferimento, è un modo di vedere. Sono arrivato ad Adams, fotograficamente parlando, perché cercavo la tecnica per esprimere al meglio quello che pensavo. Il disegno è molto più istintivo del lavoro fotografico, per cui credo che questa vicinanza tra le due tecniche, sia data proprio da un comune intento espressivo».

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ABW318 2009 drawing on Schoellers cartoon 31,5×57.

Nella scelta della luce, della location e del suo allestimento, quanta influenza ha avuto – in tal senso – la sua specializzazione in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera?
«Molta. Quello che attrae la mia attenzione diventa un palcoscenico, perché desidero che le mie immagini, siano una rappresentazione di una realtà che coinvolga un pubblico il più a lungo possibile».

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La domanda che più frequentemente le viene rivolta, osservando i suoi lavori, è se si trattino di disegni o di fotografie. Questo cosa suscita in lei?
«Ormai ci sono abituato, quasi; credo che sia poca conoscenza della tecnica della matita. Si pensa sempre che un disegno debba essere la preparazione a qualcosa di definitivo, per esempio un olio. Non si conosce nulla di questa tecnica; quando ho iniziato, non c’erano tutti i disegnatori che ci sono oggi, per cui era molto frequente ed addirittura fonte di irritazione da parte di visitatori alle inaugurazioni. Inoltre i miei lavori non fanno parte del filone iperrealistico, non tentano di imitare la fotografia. Ma di creare delle emozioni, lontane dal voler semplicemente meravigliare. Molti, se non quasi tutti i miei lavori, infatti, non sono finiti».

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Drawing on recycled carton

 

 

 

Cercando di entrare nel dettaglio delle sue opere, ci sono alcuni elementi che – un po’ più di altri – colpiscono il suo interesse. Penso, ad esempio, alla rappresentazioni delle mani. Perché quest’ultime la intrigano tanto?
«Le mani sono quasi l’unica parte del corpo umano che non può essere modificata da creme o operazioni plastiche; sono la vera dimostrazione di chi si è, di ciò che si fa, almeno nella quasi totalità dei casi. Mi affascinano proprio per questo. Ma come ho detto, la scelta dei soggetti per i disegni o gli olii, è praticamente sempre d’istinto, per cui possono variare o ripetersi casualmente».

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Rimanendo nel tema della precedente domanda: «E che so’ quelle? Quelle sono le nuvole. Ah, straziante meravigliosa bellezza del creato!». Così vengono descritte le nuvole in un contributo di Pier Paolo Pasolini, nel film a episodi “Capriccio all’italiana” (1967). Nuvole che da sempre affascinano i diversi linguaggi artistici (penso, ad esempio, ad Aristòfane, oppure – cambiando completamente genere ed epoca storica- a “Le nuvole” di Fabrizio De Andrè). “Bellezza del creato” che spesso è stata “catturata” anche dal suo obiettivo. Parafrasando Pasolini, artisticamente per lei “che cosa sono le nuvole”?
«Nuvole! Non vorrei apparire troppo prosaico. Forme! Pieni e vuoti. Materia che può essere drammatica o eterea. Un connubio, spesso emozionante, tra luce e materia».

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Lasciamo per un momento la sua forma di espressione artistica, cercando di associare ad essa un altro tipo di linguaggio. In particolare, rifacendomi concettualmente al tentativo di Kandinsky di dare alle sue opere anche una dimensione musicale, proviamo a fare lo stesso con lei. Per quanto mi riguarda, osservando i suoi lavori, da un lato mi sembra di “ascoltare” una composizione di Beethoven, per l’impeto e per l’uso del bianco e del nero, che fa pensare al rifiuto dei cromatismi nelle melodie da parte del compositore tedesco. Invece, per il virtuosismo della sua tecnica, ben si presta un’esecuzione di Bach attualizzata da contaminazioni Jazz. C’è un genere musicale o brano che, secondo lei, potrebbe – in qualche modo – rappresentare le Sue opere?
«Possiamo tranquillamente restare nei suoi esempi. Aggiungerei anche un Bach originale…».

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Infine, tornando ai suoi lavori, ci sono già degl’impegni futuri in cantiere che possiamo anticipare?
«Collettiva a fine Marzo di foto alla Galleria Biffi di Piacenza. Presenza ad Aprile al MIA di Milano con la Galleria RB Personale nello showroom Parah, a Milano (ad Aprile-Salone del mobile) di foto e disegni».


“[…] Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati“.

(Marie-Henri Beyle – Stendhal, “Roma, Napoli e Firenze”)

 

 

Pagina Facebook: Andrea Boyer-Artista

 

Rosy Merola SinergicaMentis

 

 

Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.