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Giovanni Pascoli: X Agosto (testo e parafrasi)

(Ph Rosy Merola, “Dream Room”, mostra Chagall – Napoli)

Scritto nel 1896 e pubblicato sulla rivista “Il Marzocco”, nello stesso anno, il “X Agosto” rappresenta uno dei più toccanti componimenti scritti da Giovanni Pascoli. Infatti, ai versi di tale poesia lirica (inserita nella quarta edizione di Myricae del 1897), il poeta originario di San Mauro di Romagna affida il dolore per la tragica morte del padre, ucciso – il 10 agosto 1967 – da una fucilata sparata da ignoti.

Articolata in sei quartine di decasillabi e novenari piani, in rima alternata (schema ABABCDCD), la poesia racchiude in sé diversi temi, il cui senso profondo viene rafforzato dalla presenza di numerose figure retoriche e da un appropriato uso della punteggiatura. Quest’ultima rende la lettura lenta e singhiozzante, simile ad un pianto (che più volte viene citato nel testo).

Nello specifico, tema centrale del componimento è la malvagità umana. Questa viene subito introdotta attraverso l’invocazione fatta a San Lorenzo (v. 1), vittima di un atroce martirio per mano dell’uomo. Tale riferimento, insieme a quello relativo alle stelle cadenti (“tanto di stelle per l’aria tranquilla arde e cade”), consente al poeta di dare una precisa indicazione temporale: il 10 agosto. Giorno che, a causa del doloroso evento autobiografico indicato in precedenza, rappresenta per Pascoli il culmine della cattiveria del genere umano. Tuttavia, con la chiamata in causa del “concavo cielo” (v.4), il componimento acquista una dimensione cosmica. Ciò gli permette di estendere la propria esperienza personale al resto del mondo e lo fa utilizzando un parallelismo tra l’uccisione di una rondine e quella del padre (“ritornava una rondine al tetto”, v. 5 – “anche un uomo tornava al suo nido”, v. 13; “l’uccisero: cadde tra spini”, v. 6 – “l’uccisero: disse: Perdono”, v. 14; “ella aveva nel becco un insetto”, v. 7 – “portava due bambole in dono”, v. 16; “tende / quel verme a quel cielo lontano”, vv. 9-10 – “addita / le bambole al cielo lontano”, v. 20).

Ecco che, così come la rondine viene uccisa mentre stava ritornando al “tetto” con il cibo destinato ai suoi “rondinini”, il padre trova la morte sulla strada di casa, o meglio al “nido” (scambio di analogia tra l’elemento umano “tetto” attribuito alla rondine e “il nido” associato all’uomo) con due bambole in dono. Qui, la lirica diventa straziante nel passaggio che descrive la lenta agonia sia della rondine (“che pigola sempre più piano” v.12), che del padre di Pascoli a cui “restò negli aperti occhi un grido” (v. 15). Attraverso la morte di due innocenti – come sottolineato dall’espressione “come in croce”, che rinvia alla crocifissione di Cristo –, il male vince sul bene. Solo una cosa distingue l’uomo dall’animale: la parola “perdono” (v. 14). A chi “aspetta in vano” (v. 18) in quel nido che ha fallito il compito di proteggerli, non rimane che il pianto.

Grazie alla struttura circolare che caratterizza il componimento, la lirica si conclude così come era stata iniziata: con la descrizione del cielo inondato di stelle. Quest’ultime potrebbero apparire come un barlume di speranza per “quest’atomo opaco del Male” (v. 24) che è la Terra in cui viviamo, se non fosse che Pascoli puntualizza che si tratta di un “pianto” di luce. Così triste e miserevole è la condizione umana, che anche le lontane stelle, volgendo in giù il loro sguardo, sono mosse da un sentimento di commossa afflizione. Pianto che, se ci si sofferma sul fatto che, a differenza della prima quartina, in quest’ultima il “Cielo” è scritto con la “c” maiuscola, sembra quasi una supplica muta che Pascoli – nonostante la fede smarrita a causa della tragica scomparsa del padre e altre tristi vicissitudini familiari – prova a far rivolgere dalle stelle alla volta celeste. Intercessione non accolta da quel “cielo lontano” (v. 20), il quale – proprio in virtù della sua concavità – dovrebbe accogliere; abbracciare; lenire; proteggere gli uomini dalla malvagità. Invece rimane distaccato e lontano, appunto. Allo stesso tempo, il cerchio indotto dalla struttura della poesia si chiude, dando anche una risposta all’affermazione lasciata in sospeso nella prima strofa da Pascoli: San Lorenzo, io lo so perché – il 10 agosto (giorno in cui si festeggia il santo in questione) – un così grande numero di stelle cade dal cielo. Non è certo per via dell’antica tradizione cristiana (che, a sua volta, si è ispirata a quella romana), che vuole che le stelle cadenti siano le lacrime del Santo durante il suo martirio. Invece, come descritto prima, si tratta di un pianto provocato dalla cattiveria umana. Malvagità che, da quel 10 agosto 1867 (giorno dell’assassinio del padre Ruggero), fa sì che “il fanciullino” guardi il cielo e le stelle cadenti con assoluto disincanto.

Rosy Merola

Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.