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Pillole di storia e politica UE: Liberismo ed euroscetticismo, il Regno Unito tacheriano

«In politica, se vuoi che qualcosa venga detto, chiedi ad un uomo. Se vuoi che qualcosa venga fatto, chiedi ad una donna», questa è una delle frasi celebri pronunciate da Margaret Thatcher, Lady di ferro (“Железная леди” – Zheleznaya ledi” in italiano “Signora di ferro“, così fu definita da un giornale russo dopo un duro attacco della Thatcher all’Unione Sovietica. Una definizione che, da quel momento in poi, divenne il suo soprannome) scomparsa a Londra, il 4 aprile 2013. Uno dei personaggi politici più amati e odiati della storia contemporanea. Nata il 25 ottobre 1925 a Grantham, si era laureata in chimica presso il Somerville College dell’università di Oxford. Già dai tempi dell’università aveva manifestato il suo interesse per la politica, diventando presidente di un’associazione studentesca conservatrice. Conseguita la laurea, fu assunta come ricercatrice chimica presso la BX Plastics, un’industria di ingegneria per materiali plastici. La passione per la politica – sempre più forte – la indussero a trasferirsi a Dartford nel Kent dove lavorò presso una famosa industria conserviera inglese. Qui, partecipò alle elezioni del 1950 e 1951, ma non riuscì a sconfiggere il candidato Labour. Tuttavia, la sua partecipazione consentì al suo partito di ridurre il grande vantaggio che il Partito Labour aveva in città.

 
Fu proprio in quel periodo che, nel partito conservatore del Kent, conobbe Denis Thatcher, che sposò nel 1951 e da cui ebbe – nel 1953 – due figli gemelli (Mark e Carol). Sempre nel 1953, la Thatcher divenne avvocato fiscalista di professione. Il suo impegno politico la portarono, nel 1959, ad esser eletta alla Camera dei Comuni. Nel 1967 divenne parte dello Shadow Cabinet, occupandosi di Trasporti e poi di Istruzione. A seguito della vittoria dei conservatori nel 1970, con Edward Heath come primo ministro, Margaret Thatcher divenne ministro dell’Istruzione. Tuttavia, l’evento che segna un momento importante sia per la Thatcher, che per il Regno Unito, arriva nel febbraio 1975 quando divenne leader del Partito Conservatore, la prima donna a ricoprire tale carica.
La consacrazione della sua ascesa politica, giunse con elezioni del 1979, dove i conservatori ottennero la maggioranza alla Camera dei Comuni e la Thatcher divenne Primo ministro. Arrivando a Downing Street disse, parafrasando San Francescod’Assisi, affermò: «Dove c’è discordia, che si possa portare armonia. Dove c’è errore, che si porti la verità. Dove c’è dubbio, si porti la fede. E dove c’è disperazione, che si possa portare la speranza». Questo fu il primo di tre mandati come Primo ministro, restando in carica fino al 1990. Nel corso dei suoi mandati, eletta con un programma improntato al più rigoroso liberismo e ostile a ogni forma di statalismo, la Thatcher fece sentire il suo pugno di ferro su tutti i fronti. In quello economico, fa del liberalismo il suo baluardo. Libertà economica, non solo limitata all’economia dell’offerta: questa è data dalla libertà del lavoro, dalla difesa degli abusi sindacali e talvolta dalle violenza. A tal riguardo, storica la sua fermezza nei confronti delle Trade Unions, quando – nell’inverno 1984-85 – la sfidarono, minacciando una paralisi del Paese. Lei non si fece scalfire, sancendo, così, una cocente sconfitta, per il partito Labour.
Così, la parola d’ordine fu privatizzazione per le aziende pubbliche e mano leggere in termini di licenziamenti ed assunzioni delle imprese private. Con la sua visione filo-monetarista, la Thatcher puntò all’incremento del tasso d’interesse al fine di ridurre l’inflazione. Inoltre, preferendo la tassazione indiretta a quella diretta, aumentò l’IVA. Tutto ciò, non fece che ripercuotersi soprattutto sull’industria manifatturiera e la disoccupazione finì per raddoppiare in poco più di un anno. Il bilancio delle azioni intraprese fecero sì che, nel 1982, l’inflazione si portò a livelli accettabili e il tasso d’interesse fu abbassato, mentre l’industria manifatturiera ridusse i propri utili di un terzo in quattro anni e la disoccupazione aumentò di quattro volte.
Comunque sia, più che con l’economia, il primo mandato della Thatcher fu caratterizzato dal suo modo di destreggiarsi nei momenti di crisi. Basti ricordare l’assaltò dell’ambasciata iraniana a Londra da parte di un gruppo di sei terroristi arabi, il 30 aprile 1980, i quali – in cambio della fine dell’assedio – avevano chiesto il rilascio di 91 arabi detenuti in Iran minacciando di uccidere 26 ostaggi e di far saltare in aria l’edificio. La Lady di ferro prese il comando della situazione, gestendola in prima persona per cinque giorni e dando l’ordine finale di attaccare i sequestratori: cinque furono uccisi, uno catturato. E come non citare, il suo intervento nell’Isole Falkland, nel 1982, quando la giunta militare dell’Argentina le rivendicò. In quella occasione, la Thatcher vi inviò una task force navale per riprendersi le isole, portando a termine l’operazione con successo. Restando sul piano della politica estera, la Thatcher, fin dalle prime battute del suo mandato, manifestò profonda diffidenza per le istituzioni europee. Posizione resa ancora più chiare da un’altra celebre frase: «I want my money back» (Rivoglio indietro il mio denaro), a margine del Consiglio di di Dublino il 29 e 30 novembre del 1979. Qui, la Lady di ferro mise sul tavolo la questione del contributo britannico al bilancio della CEE. Il pugno duro con l’Europa continuò per tutti suoi mandati: «Il Presidente della Commissione, Mr. Delors, ha detto in una conferenza stampa l’altro giorno che vorrebbe che il Parlamento europeo fosse il corpo democratico della Comunità, ha voluto che la Commissione sia l’esecutivo e vorrebbe che il Consiglio dei ministri fosse il Senato. No! No! No!», così affermò il 30 ottobre 1990, nel corso del dibattito alla Camera dei Comuni. Tuttavia, come spesso accade, anche la sua popolarità – nel 1989 – iniziò la fase del declino. Inizialmente, a causa di una frenata nella crescita economica, poi per via della sua riforma del sistema fiscale, che vide l’introdusse della cosiddetta poll tax, ovverosia una tassa calcolata in base alla popolazione, uguale per ogni cittadino residente nel Regno Unito. Questo generò uno sciopero fiscale cui parteciparono più di 18 milioni di persone.
Questo sfociò in una spaccatura interna al suo partito. Così, il primo passo verso la sua uscita di scena, fu la dimissioni del ministro degli Esteri e vice-primo ministro Geoffrey Howe. Il 20 novembre 1990 si svolsero le elezioni per la carica di leader del Partito Conservatore. La Thatcher era alla Conferenza di Parigi. Convinta di essere in netto vantaggio sull’avversario Michael Heseltine, non raggiunse la maggioranza richiesta per soli 4 voti ed era quindi necessario un secondo turno. Tuttavia, la situazione precipitò, quando, rientrata a Londra – dopo aver annunciato che sarebbe rimasta a Downing Street – diede il via alle consultazioni con gli stati maggiori del Partito. Nel corso della notte, cambiò idea e decise di dimettersi da primo ministro, appoggiando poi la candidatura del ministro dell’Economia John Major, il quale al Congresso del partito vinse facilmente e le succedette come primo ministro.
 
Rosy Merola

Rosy Merola

Definisco il mio percorso professionale come un “volo pindarico” dalla Laurea in Economia e Commercio al Giornalismo. Giornalista pubblicista, Addetta stampa, Marketing&Communication Manager, Founder di SinergicaMentis. Da diversi anni mi occupo della redazione di articoli, note e recensioni di diverso contenuto. Per il percorso di studi fatto, tendenzialmente, mi occupo di tematiche economiche. Nello specifico, quando è possibile, mi piace mettere in evidenza il lato positivo del nostro Made in Italy, scrivendo delle eccellenze, start-up, e delle storie di uomini e donne che lo rendono speciale. Tuttavia, una tantum, confesso di cadere nella tentazione di scrivere qualcosa che esula dalla sfera economico-finanziaria (Mea Culpa!). Spaziando dall'arte, alla musica, ai libri, alla cultura in generale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani esordienti e di quelle realtà che mi piace definire "startup culturali". Perché, se c'è una frase che proprio non riesco a digerire è che: "La cultura non dà da mangiare". Una affermazione che non è ammissibile. Soprattutto in Italia.